Nelle prime ore dell’alba, la piazza São Lucas, nel Complesso Penha, zona nord di Rio, è diventata il macabro teatro della strage. Oltre sessanta corpi, coperti da lenzuola e coperte, sono stati disposti in fila dagli abitanti, usciti per identificare i propri familiari scomparsi dopo gli scontri. Un silenzio spettrale, rotto solo dal dolore, ha avvolto la scena descritta dai media locali. I cadaveri, rimossi in seguito da un’area boscosa vicina, epicentro dei combattimenti più feroci, attendono ancora il formale riconoscimento. Tra le vittime si contano anche quattro agenti di polizia, uccisi nel conflitto a fuoco.
L’operazione, concentrata nei complessi di favelas di Penha e Alemão, ha mobilitato un imponente dispiegamento di forze per contrastare il secondo gruppo criminale più potente del Brasile. I membri del Comando Vermelho hanno accolto la polizia con un intenso sbarramento di fuoco, costringendo gli agenti a un conflitto prolungato. Oltre agli scontri diretti, la risposta dei narcotrafficanti è proseguita nelle ore successive con l’erezione di barricate e l’incendio di autobus e automobili, azioni che hanno temporaneamente ostacolato l’accesso ai mezzi di soccorso. L’azione di polizia ha comunque portato all’arresto di 81 persone.
La gravità degli eventi ha varcato i confini nazionali, attirando l’attenzione della comunità internazionale. Volker Türk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha espresso il suo “orrore” attraverso un post sui social media. Nel suo intervento, ha ricordato alle autorità brasiliane i loro obblighi secondo il diritto internazionale, sollecitando l’avvio di “indagini tempestive ed efficaci” sugli accaduti. Una chiamata alla trasparenza che risuona in un paese dove i gruppi criminali, come il Comando Vermelho nato in un carcere di Rio nel 1979, continuano a rappresentare una sfida enorme per la sicurezza pubblica.