Kyriakos Pierrakakis
Sofia saluta il lev e abbraccia l’euro. Dal primo gennaio 2026 la Bulgaria diventa il ventunesimo Stato dell’eurozona, compiendo un passo storico che divide il Paese tra chi vede nell’adesione uno scudo contro la povertà e l’influenza russa e chi teme aumenti dei prezzi insostenibili. Un ingresso celebrato da Bruxelles come “pietra miliare” per l’Unione, ma accolto con scetticismo da metà della popolazione bulgara.
“Un caloroso benvenuto alla Bulgaria nell’euro”, ha dichiarato il presidente dell’Eurogruppo Kyriakos Pierrakakis in un messaggio diffuso alla vigilia del passaggio alla moneta unica. “Questa pietra miliare riflette sforzi e riforme, rafforza la nostra valuta condivisa e le fondamenta dell’Unione a un momento decisivo per l’Europa”. La prima riunione dell’Eurogruppo con il ministro delle Finanze bulgaro Temenuzhka Petkova si terrà il 19 gennaio a Bruxelles, sancendo formalmente l’ingresso di Sofia nel club della moneta unica.
Per la Bulgaria, Paese più povero dell’Unione europea dal suo ingresso nel 2007, l’adozione dell’euro rappresenta il culmine di un percorso iniziato negli anni Novanta, quando l’iperinflazione costrinse il governo ad agganciare il lev prima al marco tedesco, poi direttamente all’euro. Una dipendenza di fatto dalla Bce che ora si trasforma in partecipazione piena al processo decisionale dell’unione monetaria.
I vantaggi economici promessi sono significativi. Christine Lagarde, presidente della Bce, ha elencato il mese scorso i benefici attesi: “Commerci più fluidi, minori costi di finanziamento, prezzi più stabili”. Le imprese bulgare risparmieranno circa 500 milioni di euro l’anno in commissioni di cambio, mentre il turismo – settore che vale l’otto per cento del Pil nazionale – riceverà un impulso sostanziale grazie alla semplificazione dei pagamenti per i visitatori europei.
Le monete conserveranno le immagini tradizionali: una scultura rupestre, il santo patrono, un frate-patriota. Ma dietro la continuità simbolica si nasconde una trasformazione profonda della vita quotidiana bulgara. Sofia potrà finalmente sedersi al tavolo delle decisioni monetarie europee, uscendo dalla condizione di dipendenza passiva dalla politica della Bce.
Le rassicurazioni di Bruxelles non placano i timori dei cittadini. Secondo Eurobarometro, quasi la metà dei bulgari – il 49 per cento – avrebbe preferito mantenere il lev. I dati dell’istituto nazionale di statistica mostrano un’inflazione del cinque per cento a novembre rispetto all’anno precedente, con lo scontrino del supermercato sempre più pesante per famiglie che vivono con uno stipendio medio di poco superiore ai 1.200 euro mensili.
Lagarde ha cercato di minimizzare l’impatto sui prezzi, stimando aumenti “modesti” tra lo 0,2 e lo 0,4 per cento, destinati a durare poco. Ma la popolazione resta scettica, ricordando l’esperienza di altri Paesi dove il passaggio all’euro coincise con rincari percepiti come ben superiori alle stime ufficiali. Il parlamento di Sofia ha varato quest’anno organi di controllo autorizzati a indagare sugli aumenti ingiustificati e a vigilare contro le temute impennate speculative legate al cambio di valuta.
Il passaggio all’euro ha anche una valenza geopolitica evidente. Per i sostenitori, l’adesione alla moneta unica rappresenta uno “scudo” contro l’influenza russa in un momento di tensioni crescenti nell’Europa orientale. L’euro avvicina la Bulgaria all’Occidente, consolidando legami politici ed economici con il resto dell’Unione.
Gli oppositori, concentrati soprattutto nelle aree rurali più povere del Paese, vedono invece nell’operazione l’ennesima imposizione di Bruxelles. L’estrema destra filorussa alimenta da tempo proteste e diffidenza verso il governo di Sofia, sfruttando il malcontento economico per seminare dubbi sull’integrazione europea. La sfida per le autorità bulgare sarà dimostrare nei prossimi mesi che i benefici promessi non restano sulla carta, convincendo una popolazione divisa che l’euro può davvero essere occasione di crescita e non solo fonte di nuove difficoltà.