Chiara Ferragni in tribunale
Niente tacchi appariscenti, niente loghi, niente sorrisi per la telecamera. Solo un tailleur nero, una camicia bianca e il silenzio di chi sa di essere al centro di un’indagine che potrebbe segnare la sua carriera. Chiara Ferragni è tornata ieri mattina al Palazzo di Giustizia di Milano per la seconda udienza pre-dibattimentale nel procedimento per truffa aggravata, insieme all’ex collaboratore Fabio Damato e a Francesco Cannillo, presidente di Cerealitalia-ID.
L’imputazione riguarda le campagne benefiche del Pandoro Pink Christmas 2022 e delle uova di Pasqua 2021 e 2022, in cui – secondo la Procura – i consumatori furono indotti a credere che ogni acquisto avrebbe generato una donazione proporzionale a due enti solidali, mentre il contributo era già stato versato in anticipo e disgiunto dalle vendite. Il profitto contestato alle società legate a Ferragni ammonta a 2,2 milioni di euro.
All’uscita dall’aula della terza sezione penale, Ferragni ha rotto il suo silenzio social con poche parole alla selva di cronisti: “Grazie per l’attenzione, per essere qui. È una fase difficile della mia vita e penso mi capirete se non mi sento di fare ulteriori dichiarazioni. Grazie di essere qua e andiamo avanti”. La sua strategia processuale è ormai definita: chiedere il rito abbreviato, come faranno anche gli altri due imputati, nella speranza di chiudere il caso entro gennaio 2026 con una sentenza che la scagioni.
La difesa, composta dagli avvocati Giuseppe Iannaccone e Marcello Bana, ribadisce che non vi sia stato alcun dolo, ma una “falla comunicativa” in campagne comunque finalizzate al bene comune. Intanto, Ferragni ha già effettuato donazioni riparatorie per 3,4 milioni di euro — un importo superiore a quello contestato — e ha regolato fuori dall’aula le richieste di Codacons e di una settantaseienne acquirente di pandori, che ha promesso di devolvere il risarcimento in beneficenza.
Resta in campo un’unica istanza di costituzione di parte civile: quella della Casa del Consumatore, un’associazione attiva soprattutto nei settori energetici ma che in questo caso rappresenta — a suo dire — gli interessi lesi di circa 370mila acquirenti. Ha rifiutato un’offerta di 5mila euro, proponendo invece a Ferragni di sostituirla con “uno o due reel social” per promuovere un’app sui diritti dei consumatori.
“Vogliamo un atto concreto di responsabilità, non denaro”, ha spiegato il presidente Giovanni Ferrari. I legali di Ferragni si oppongono all’ammissione dell’associazione; la Procura, invece, si è rimessa alla valutazione del giudice Ilio Mannucci Pacini, che dovrà decidere nelle prossime settimane. L’udienza del 25 novembre sarà cruciale in tal senso.
Il caso nasce dalle segnalazioni di consumatori insospettiti dal meccanismo di donazione. Le indagini, coordinate dalla Procura di Milano e condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza, hanno rivelato che la donazione all’Ospedale Regina Margherita di Torino e all’associazione I Bambini delle Fate era stata concordata prima delle vendite e per un importo fisso, mentre le campagne pubblicitarie lasciavano intendere il contrario.
Parallelamente, le società della Ferragni incassavano un milione di euro per licenza e promozione. Imputata anche Alessandra Balocco, amministratore delegato dell’azienda dolciaria omonima, deceduta ad agosto. Il processo, dopo l’udienza del 19 dicembre, dovrebbe concludersi con una sentenza a gennaio. Ferragni, per la prima volta, ha scelto di presenziare personalmente alle udienze, segnale di una strategia difensiva non più affidata solo ai legali, ma portata in prima persona davanti all’opinione pubblica — e alla giustizia.