Il presidente della Cina, Xi Jinping e il presidente Usa, Donald Trump
La Cina ha lanciato un’accusa frontale contro gli Stati Uniti, definendo la minaccia di dazi del 100% sulle importazioni cinesi da parte del presidente Donald Trump un “grave compromesso” al clima dei negoziati commerciali bilaterali. La reazione ufficiale di Pechino arriva a due giorni dall’annuncio di venerdì, segnando un’escalation che rischia di congelare il dialogo tra le due superpotenze economiche.
In una nota diffusa sul sito del ministero del Commercio cinese, un portavoce ha bollato la mossa americana come un “tipico esempio di doppi standard”. “Gli Stati Uniti abusano da tempo del concetto di sicurezza nazionale e delle misure di controllo sulle esportazioni, applicando pratiche discriminatorie contro la Cina”, si legge nel comunicato. Queste azioni, secondo Pechino, hanno “seriamente danneggiato i diritti e gli interessi legittimi delle imprese cinesi”.
Il ministero ha evidenziato un’asimmetria evidente nelle restrizioni: la lista statunitense comprende circa 3.000 voci, contro le sole 900 della Cina. A sole tre settimane dall’ultimo round di colloqui a Madrid, Washington ha proseguito ad aggiungere aziende cinesi alle black list, estendendo le sanzioni al settore del trasporto marittimo e introducendo nuove politiche restrittive.
“Minacciare la Cina con dazi elevati non è il modo giusto per dialogare”, ha tuonato il portavoce, ribadendo la posizione ferma di Pechino: “Non vogliamo una guerra commerciale, ma non la temiamo”. In caso di avanzamento delle tariffe americane, la Cina “adotterà misure corrispondenti” per difendere i propri interessi. Questa escalation rappresenta una brusca inversione rispetto alle recenti aperture bilaterali.
Pochi giorni fa, Trump e il presidente Xi Jinping avevano intrattenuto un colloquio telefonico, concordando un incontro al vertice Apec in Corea del Sud per fine mese. Tuttavia, lo stesso Trump ha poi espresso dubbi sull’utilità dell’appuntamento, dichiarando di non vedere “ragioni” per incontrarsi con Xi, per poi ritrattare parzialmente e non cancellare del tutto l’impegno.
Il nuovo dazio al 100%, che si sommerà a quelli già attivi, entrerà in vigore il primo novembre o prima, accompagnato da ulteriori limitazioni sull’export di software sensibili. Dal canto suo, Pechino ha da poco imposto controlli sulle esportazioni di terre rare, tecnologie avanzate e prodotti come le batterie agli ioni di litio, difendendole come “azioni legittime per rafforzare il controllo su beni a duplice uso e salvaguardare la pace regionale”.
Il ministero cinese ha assicurato di aver valutato l’impatto sulle catene di approvvigionamento globali, esprimendo “fiducia negli effetti molto limitati”. Intanto, dalle parti americane filtrano segnali misti: dopo le restrizioni cinesi sulle terre rare, Trump ha postato un messaggio conciliante sul suo social Truth. “Non preoccupatevi per la Cina, andrà tutto bene. Il rispettatissimo presidente Xi ha appena attraversato un brutto momento. Non vuole una depressione per il suo Paese, e nemmeno io. Gli Stati Uniti vogliono aiutare la Cina, non danneggiarla”, ha scritto il presidente.
Poche ore prima, il vicepresidente JD Vance, in un’intervista a Fox News, ha delineato uno scenario più muscolare: Trump è pronto a fare il “negoziatore ragionevole”, ma se Pechino reagirà negativamente, gli Usa “hanno più carte da giocare”. A una domanda esplicita su un possibile bando alle aziende cinesi, Vance ha replicato secco: “Trump è pronto a tutto”. Le schermaglie continuano, con la guerra commerciale come spectre incombente, mentre il mondo trattiene il fiato per le mosse successive.