Drew Starkey, Luca Guadagnino e Daniel Craig
Mentre negli Stati Uniti si fa sempre più pressante la deriva bigotta promossa dall’amministrazione Trump, il cinema italiano trova in Luca Guadagnino uno dei suoi alfieri più determinati nella difesa dei valori di diversità, inclusione e libertà. Il regista siciliano, reduce dal successo internazionale di Call Me by Your Name, torna al centro della scena con Queer, un film che non lascia spazio a compromessi: un manifesto cinematografico contro ogni forma di oppressione sociale e culturale.
Tratto dal controverso romanzo omonimo di William S. Burroughs, Queer esplora le tensioni tra desiderio e repressione in un Messico degli anni ’50 dominato da rigidi codici morali. “Non sono diverso, sono disincarnato”, ripetono i protagonisti nel film, una frase che sintetizza il conflitto interiore di chi cerca di sfuggire alle catene imposte dalla società. Guadagnino, intervistato durante la presentazione del film insieme a Daniel Craig, spiega come questa storia risuoni ancora oggi: “Nel modo in cui ho lavorato tutta la mia vita, ho applicato politiche di diversità, equità e inclusione. Oggi, queste stesse politiche sono sotto attacco dall’amministrazione Trump, che chiede persino ai fornitori europei di cancellarle”.
Per Guadagnino, il cinema non è solo intrattenimento, ma un atto di resistenza culturale. E Queer ne è l’esempio perfetto: un’opera che celebra la libertà di essere sé stessi attraverso una narrazione intensa e provocatoria.
La colonna sonora del film amplifica il messaggio di libertà e ribellione. Tra i brani scelti spicca Smells Like Teen Spirit dei Nirvana, un grido generazionale che Guadagnino descrive come “il partner emotivo ideale per il dolore profondo dei personaggi”. Accanto ai Nirvana, troviamo i New Order e i Verdena, gruppo italiano che il regista spera possa conquistare nuovi territori grazie al film. “La musica è un ponte che ci permette di superare tutte le forme di censura”, dichiara Guadagnino, sottolineando come l’arte possa abbattere barriere culturali ed epocali.
Protagonista del film, Daniel Craig interpreta William Lee, alter ego di Burroughs, in un ruolo lontano anni luce da James Bond. L’attore britannico, intervistato accanto a Guadagnino, riflette sul significato del progetto: “Il cinema deve guardare al futuro, non al passato. Chiunque interpreti Bond ora non mi interessa, ciò che conta è creare opere che ispirino e commuovano il pubblico anche tra dieci anni”. Per Craig, Queer rappresenta un ritorno alle origini del cinema come strumento di esplorazione dell’animo umano, senza filtri né compromessi.
Guadagnino non si ferma qui. Tra i suoi prossimi progetti figura l’adattamento di Camere Separate, l’ultimo romanzo di Pier Vittorio Tondelli, che esplora temi di alienazione giovanile e ricerca di identità. “Il mio prossimo film non avrà alcun timore di continuare nella direzione di ricerca con cui vado”, afferma il regista, confermando il suo impegno verso un cinema che sfida le convenzioni e celebra la diversità.
In un momento storico segnato da crescenti divisioni e tentativi di censura, il cinema di Guadagnino diventa un faro di speranza. Attraverso opere come Queer, il regista dimostra che l’arte può essere uno strumento di dialogo e cambiamento sociale. “Vivo in Gran Bretagna e non vivo direttamente quello che sta succedendo negli Stati Uniti”, ammette Guadagnino, “ma dobbiamo essere preoccupati per certe cose, non per tutto”.
E forse è proprio questo il messaggio più forte che emerge dal film: nonostante le difficoltà, la libertà di essere sé stessi e di raccontarsi rimane un diritto inalienabile. Un diritto che Guadagnino, con il suo cinema, continua a difendere con coraggio e determinazione.
Che tempo che fa, ospitando Guadagnino e Craig, ha offerto al pubblico italiano non solo un assaggio di Queer, ma anche una riflessione su quanto sia urgente, oggi più che mai, utilizzare l’arte come arma contro l’intolleranza.