Editoriale

Conte inciampa su Trump, sempre viva la democristianità del premier

Le scosse dell’assalto al Campidoglio Usa, arrivano anche a Palazzo Chigi. Nel mirino, Giuseppe Conte. E, questa volta, non solo di Italia Viva ma anche del Partito Democratico. I due alleati di governo in una rara sintonia, criticano in modo marcato il premier per aver condannato la guerriglia di Washington in maniera soft nei suoi commenti e non abbia mai citato il presidente Donald Trump. In altri termini, il capo del governo, a loro dire, è “reo” di non aver preso le distanze dal capo della Casa Bianca, di certo protagonista politicamente degli scontri a Capitol Hill. Nome, quello del capo della Casa Bianca, a dire il vero, mai citato dal premier nei suoi due interventi sugli eventi americani. Il primo, durante l’assalto al Campidoglio Usa, quando il presidente del Consiglio si era limitato – via tweet – a dichiarare: “Seguo con grande preoccupazione quanto sta accadendo a Washington. La violenza è incompatibile con l’esercizio dei diritti politici e delle libertà democratiche. Confido nella solidità e nella forza delle Istituzioni degli Stati Uniti”.

Il commento di Conte all’assalto al Congresso “poteva essere più netto”, dice il vicesegretario Dem, Andrea Orlando. Più dura Italia Viva: “In Italia Donald Trump può contare su tre solidi alleati politici: Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Giuseppe Conte. Perché balbettano? Dove sono le loro inequivocabili parole di condanna?”. Da qui il secondo intervento (“riparatore”) di Conte che però mette a nudo la sua cautela, per non dire democristianità. Infatti, solo ieri mattina – dopo la proclamazione ufficiale di Joe Biden da parte del Congresso Usa – ha twittato: “Non vediamo l’ora di lavorare assieme al Presidente Biden e alla Vice presidente Kamala Harris per promuovere insieme un’agenda globale di crescita, sostenibilità e inclusione”. Della parola Trump, ancora una volta, nessuna traccia. D’altronde, sono noti i rapporti tra Conte e il presidente Usa. Si era anche ripromesso, il premier, di fare gli auguri a Trump prima delle elezioni americane di novembre scorso: “E visti i legami di amicizia – aveva detto – gli manderò un ‘in bocca al lupo’”. Come raccontava un autorevole esponente grillino di governo, il premier “da buon diccì tifa per chiunque, ma in cuor suo tifa per ‘The Donald’”.

E così, in questo ginepraio, si manifesta l’indiscusso fiuto del senatore di Scandicci. L’occasione è buona, in sostanza, per ribadire, per l’ennesima volta a Conte, di lasciare la delega ai Servizi segreti. In pratica, dopo quello che è accaduto a Washington per Italia Viva è sempre “più urgente” che Conte lasci la delega ai Servizi. Fonti del partito di Renzi, tra l’altro, chiedono anche che “si faccia chiarezza” su quanto accaduto nell’estate 2019, con la visita di William Barr, attorney general di Trump, in Italia. All’epoca, quando emerse la vicenda e i possibili legami col Russiagate, Renzi chiese al premier di riferire al Copasir. “Un episodio controverso e mai davvero chiarito, anche perché per chiarirlo servirebbe appunto una gestione più trasparente dell’intelligence”, ha detto Renzi coi suoi confidenti in queste ore. E il riferimento è alle visite che l’allora ministro della Giustizia americano, William Barr, fece a Roma a metà agosto del 2019, e poi ancora a metà settembre dello stesso anno. Proprio nelle settimane calde della crisi del Papeete, che poi portarono alla nascita del governo rossogiallo. Ma questa è un’altra storia.

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