Editoriale

Così è esploso il Movimento Cinque Stelle

Prima aveva un capo nonostante nessuna rotta. Ora non c’è più neanche chi comanda. E così il MoVimento Cinque Stelle è letteralmente allo sbando. Il reggente, Vito Crimi, ha ben poco da reggere con un movimento che in due anni è passato dal quarantatré per cento al sette per cento di consensi. Intanto, il ministro Alfonso Bonafede è stato eletto “per acclamazione” a capo della delegazione del Movimento 5 Stelle al Governo. Succede a Luigi Di Maio che la lasciato parlamentari e attivisti sparsi in una galassia che ha sempre più satelliti. E così c’è la pattuglia che continua a crescere dei fuoriusciti e che fa capo a Lorenzo Fioramonti, pronta a formare un nuovo gruppo parlamentare. O come quella che raggruppa ex ministri e parlamentari di peso, illusi da poltrone e incarichi promessi dallo stesso Di Maio, come l’ex ministro Barbara Lezzi, sempre pronti a far i bastian contrario. Per non parlare di chi meglio rappresenta la base pentastellata, decisamente delusa dai 5 stelle in questi due anni al governo, ovvero Alessandro Di Battista, che proprio in questi due anni ha assistito dalla finestra al declino del movimento e che ora sembra pronto a un rientro in grande stile.

Una galassia che vede anche protagonista l’anima più “sinistra” del movimento che fa capo a Roberto Fico sempre più stretto al fianco del premier Giuseppe Conte per un sodalizio con il Partito Democratico. Tengono duro, ancora, anche i “lealisti”, come Vincenzo Spadafora e Alfonso Bonafede che difendono a spada tratta l’ex capo politico. E non è tutto, perché nonostante dall’inizio legislatura a oggi, 23 parlamentari sono usciti dal M5s, ancora sugli scranni siedono 99 senatori e 227 deputati. Esponenti pentastellati di cui una buona maggioranza sa che finita la legislatura non metterà più piede né a Montecitorio, né a Palazzo Madama. Onorevoli, in sostanza, che non vogliono sentire parlare né di donazioni mensili alla Casaleggio & C. né di caduta di governo. Obiettivo principe, quindi, avanti tutta fino al 2023. E a proposito di donazioni, che fine hanno fatto le tante annunciate espulsioni dopo settimane di contabilità ad hoc proprio per scovare i morosi? Ad maiora. Tuttavia, a sovrintendere questo complesso e, allo stesso tempo, bizzarro scenario, c’è al momento Crimi, che per evitare di essere subito ingoiato dal bipolarismo, ha già chiuso la porta a Conte e a Nicola Zingaretti. Domani si vedrà.

La sintesi della contraddizione che anima i pentastellati, invece, la fa il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano: “Fanculo a chi cerca di imporci un rinnovato bipolarismo, noi siamo altro e siamo nati con lo scopo di scardinare il sistema”. Dimenticando che proprio i 5stelle, in questi due anni al governo, hanno alimentato il “sistema” alleandosi prima con la Lega e ora con il Pd, accaparrando poltrone a destra e a manca. A questo punto, coerenza vorrebbe dimissioni. Ma Di Stefano ha un’altra soluzione: “Si può e si deve tornare nelle piazze anche stando al Governo, perché in governi di coalizione è fondamentale creare consapevolezza civica attorno alle battaglie che si combattono”. In altri termini, rendere immortale il sistema. Intanto, dopo i deludenti risultati in Emilia Romagna e Calabria, i 5 Stelle cercano ora la quadra sulle candidature per le prossime regionali. E già scoppiano le prime liti. In Liguria, Alice Salvatore, candidata vincitrice nel ballottaggio su Rousseau e sostenitrice della corsa in solitaria, si sarebbe vista a Roma con Danilo Toninelli, il facilitatore responsabile per le campagne elettorali, ed Emilio Carelli, responsabile per la comunicazione. Una riunione “segreta” si lamentano i parlamentari liguri che protestano per non essere stati avvertiti così come pure il coordinatore regionale che, nonostante il suo ruolo, era all’oscuro della riunione.

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