Cronaca

Crisi Thailandia-Cambogia: escalation militare riaccende tensioni storiche nel Sud-Est asiatico

Oltre trenta morti, oltre 170.000 sfollati e l’ombra di un conflitto regionale che non si vedeva da oltre un decennio. Il confine tra Thailandia e Cambogia è diventato un teatro di guerra dove carri armati, artiglieria pesante e jet da combattimento hanno trasformato antiche dispute territoriali in una crisi internazionale.

Mentre bambini, anziani e famiglie cercano rifugio nei templi buddisti, il mondo assiste impotente al precipitare di una situazione che il primo ministro thailandese ad interim Phumtham Wechayacha ha definito senza mezzi termini: “Il rischio concreto di una guerra”.

La scintilla che ha incendiato gli 800 chilometri di frontiera comune è scoccata giovedì, riaccendendo tensioni sopite da anni di fragile tregua. Ma questa volta è diverso. L’uso di munizioni a grappolo, l’impiego di caccia F-16 e il bombardamento di obiettivi civili – scuole, pagode, distributori di benzina – hanno fatto saltare ogni regola del gioco diplomatico. La Cambogia accusa Bangkok di aver esteso l’offensiva ben oltre le zone contese, colpendo aree residenziali nell’entroterra. La Thailandia replica dichiarando la legge marziale nelle province di confine e schierando ulteriori truppe.

I numeri raccontano una tragedia annunciata: 13 morti in Cambogia, di cui 8 civili; 20 vittime in Thailandia, 14 delle quali innocenti. Ma dietro le statistiche si cela una realtà più complessa. Phnom Penh ha chiesto un “cessate il fuoco immediato e incondizionato” durante la riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, mentre Bangkok condiziona ogni tregua alla “buona fede” dell’avversario. Una guerra di parole che accompagna quella delle armi.
L’intervento della comunità internazionale non si è fatto attendere. La Malesia, che presiede l’ASEAN, si è offerta come mediatrice. Ma è l’irruzione di Donald Trump sulla scena a cambiare le carte in tavola.

“Ho avuto un’ottima telefonata con il Primo Ministro della Cambogia”, ha scritto su Truth Social, aggiungendo un avvertimento che suona come un ultimatum: “Intendono tornare al tavolo degli scambi con gli Stati Uniti, cosa che riteniamo inappropriata finché i combattimenti non cesseranno”.
La posta in gioco va oltre i confini regionali. In un’epoca di crescenti tensioni geopolitiche, il conflitto tra Bangkok e Phnom Penh rischia di aprire nuovi fronti di instabilità in un’area strategica per gli equilibri mondiali. Mentre decine di migliaia di persone continuano a fuggire dalle loro case, resta da chiedersi se la diplomazia riuscirà a prevalere sulla logica delle armi, o se il Sud-Est asiatico si prepara a vivere il suo momento più buio degli ultimi anni.

Pubblicato da
Giuseppe Novelli