Dal fermo a Torino all’arresto a Tripoli: il caso Almasri apre un fronte diplomatico
La gestione del rimpatrio dell’ex funzionario libico coinvolge Palazzo Chigi e riapre il confronto tra giurisdizione nazionale e Corte Penale Internazionale.

L’arresto a Tripoli di Osama Almasri, ex funzionario della sicurezza libica accusato di torture e omicidio di un detenuto, riporta al centro dello scontro politico italiano la gestione del suo rimpatrio da Torino lo scorso gennaio.
Una nota riservata anticipava il caso
L’ordine di arresto, firmato dal Procuratore generale libico Al-Siddiq Ahmad Al-Sour, è stato eseguito il 5 novembre nella capitale libica. La notizia riaccende l’attenzione sul trasferimento di Almasri, già fermato in Italia e rimpatriato su un volo di Stato. All’epoca, la procedura aveva destato perplessità negli ambienti giudiziari per la rapidità dell’operazione e per l’assenza di un mandato internazionale formalmente notificato.
Una nota riservata, datata 20 gennaio 2025 e indirizzata alla Corte d’Appello di Roma, mostra che la magistratura libica aveva chiesto di sospendere il fermo e l’estradizione. Nel documento, la Procura di Tripoli rivendicava la competenza nazionale sui presunti crimini di guerra attribuiti ad Almasri e accusava la Corte Penale Internazionale (Cpi) di aver “violato il principio di complementarità” previsto dallo Statuto di Roma.
Il nodo della giurisdizione internazionale
Secondo la Procura libica, la Corte Penale Internazionale non avrebbe mai formalizzato contatti o richieste di cooperazione con le autorità di Tripoli. La stessa Procura afferma di aver avviato un’inchiesta sui medesimi fatti già oggetto del mandato della Cpi, riguardanti torture, detenzioni arbitrarie e decessi in custodia.
Il documento sottolinea che, in base all’articolo 17 dello Statuto di Roma, un caso non può essere trattato dalla Corte dell’Aia se lo Stato coinvolto ha già avviato un procedimento nazionale. Tripoli sostiene dunque che la giurisdizione libica fosse pienamente operativa prima dell’intervento internazionale e che la Cpi non abbia notificato in modo formale l’esistenza del proprio fascicolo.
Le ripercussioni sull’inchiesta italiana
L’estradizione di Almasri continua a pesare anche a Roma. La Procura della capitale ha infatti aperto un fascicolo nei confronti della premier Giorgia Meloni, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, del ministro della Giustizia Carlo Nordio e del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. L’obiettivo è verificare se la consegna dell’uomo alle autorità libiche sia avvenuta in violazione delle norme internazionali sul trattamento dei detenuti e dei principi di non-refoulement.
L’arresto a Tripoli e la diffusione della nota del Procuratore generale rischiano di riaccendere tensioni diplomatiche tra Italia e Libia, oltre a sollevare nuovi interrogativi sulla cooperazione giudiziaria con la Corte Penale Internazionale.
La posizione della Procura libica e le prospettive
In un passaggio del documento, la Procura libica ribadisce di essere “l’autorità responsabile delle indagini su crimini di guerra e crimini contro l’umanità” e di disporre “del mandato per la gestione delle procedure investigative sui reati attribuiti all’imputato”. Nessuna comunicazione ufficiale è invece giunta, finora, dalla Corte dell’Aia.
Secondo fonti giudiziarie italiane, la nota libica sarà trasmessa agli inquirenti romani per le valutazioni del caso. In attesa di sviluppi, il fascicolo Almasri resta al crocevia tra diritto internazionale, diplomazia e tutela dei diritti umani.
