La Corte ha respinto le obiezioni mosse contro l’art. 10, comma 2, del decreto-legge n. 14 del 2017, convertito nella legge n. 48 del 2017. Ha sostenuto che la norma in questione non contrasta con gli articoli 3, 16 e 117, primo comma, della Costituzione Italiana, né con l’art. 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
In particolare, la Corte ha interpretato la norma in questione nel senso che il divieto di accesso è giustificato solo in presenza di un effettivo pericolo per la sicurezza, rivelato dalla condotta del soggetto interessato. Questo esclude l’arbitrarietà della misura e garantisce il rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, così come sanciti dall’articolo 3 della Costituzione. Inoltre, la Corte ha chiarito che il concetto di “sicurezza” si riferisce alla protezione della libertà dei cittadini dalle attività criminali, anziché al mero “decoro urbano”.
La decisione della Corte ha anche stabilito che l’individuazione delle condotte illecite soggette al divieto di accesso è una scelta discrezionale del legislatore e non è manifestamente irragionevole. La norma mira a contrastare comportamenti che contribuiscono a creare insicurezza nelle aree urbane e comportano un’indebita occupazione di spazi critici per la mobilità o interessati da flussi di persone. Tuttavia, la Corte ha dichiarato inammissibili le questioni riguardanti l’ordine di allontanamento per 48 ore dal luogo del reato, in quanto non rilevanti per la decisione in questione. In sostanza, la sentenza della Corte Costituzionale conferma la legittimità del divieto di accesso urbanistico, garantendo nel contempo il rispetto dei principi costituzionali e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.