Di Matteo lascia l’Anm: “Troppo potere alle correnti”
Il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia rassegna le dimissioni dall’associazione dei magistrati, denunciando logiche di appartenenza che avrebbe cercato invano di contrastare anche durante il suo mandato al Csm.
Nino Di Matteo
Nino Di Matteo volta le spalle all’Associazione nazionale magistrati. Il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia ha formalizzato le dimissioni dall’Anm denunciando con durezza le dinamiche correntizie che hanno inquinato l’organizzazione. Una rottura maturata nel tempo, che assume oggi un significato dirompente: uno dei magistrati simbolo della lotta alla mafia prende le distanze dall’istituzione che dovrebbe rappresentarlo. La decisione arriva dopo anni di crescente disagio.
“Ho progressivamente nel tempo maturato questa scelta con molta amarezza”, ha spiegato Di Matteo in una nota ufficiale. Il magistrato non usa mezzi termini: “Non mi sento parte di un’associazione all’interno della quale continuano a trovare spazio logiche di appartenenza correntizia e di opportunità politica che non ho mai condiviso”. Un j’accuse che suona come una condanna senza appello verso un sistema che, secondo l’ex pm del processo Trattativa Stato-mafia, ha tradito la sua missione originaria.
Il richiamo all’esperienza al Consiglio superiore della magistratura è emblematico. Proprio in quella sede Di Matteo aveva tentato di arginare derive e infiltrazioni delle correnti nelle decisioni che avrebbero dovuto rispondere esclusivamente a criteri di merito e legalità. Evidentemente, quegli sforzi non hanno prodotto i risultati sperati. L’addio all’Anm rappresenta dunque l’epilogo di una battaglia persa, ma anche il punto di partenza per una nuova fase di impegno civile.
La battaglia continua, ma da indipendente
Lasciare l’Anm non significa però abbandonare il campo. Di Matteo ha chiarito che proseguirà la sua azione di denuncia “a titolo personale, come ho sempre fatto”. Una precisazione che contiene una frecciata nemmeno troppo velata: “anche quando l’Anm preferiva restare silente”. Il riferimento è alle riforme della giustizia degli ultimi anni, dalla riforma Cartabia fino al progetto di separazione delle carriere, che il magistrato considera una minaccia concreta per l’indipendenza della magistratura e per il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Le parole di Di Matteo richiamano alla memoria dichiarazioni recenti che già lasciavano presagire questa frattura. Lo scorso marzo, durante la presentazione del libro “Cinquant’anni di mafia” di Saverio Lodato al Teatro Golden di Palermo, il magistrato aveva affermato senza giri di parole: “Non mi sento rappresentato da un’Anm che ha reso più debole e meno credibile agli occhi dei cittadini la magistratura italiana”. Un’accusa pesantissima, che evidenziava come l’associazione, anziché difendere la credibilità della categoria, ne avesse compromesso l’immagine pubblica.
La critica di Di Matteo si estende anche all’efficacia dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata. Il magistrato teme che le riforme in cantiere possano indebolire gli strumenti investigativi e processuali necessari per combattere mafia e corruzione. Non si tratta solo di una questione di principio costituzionale, ma di un rischio concreto per la sicurezza dei cittadini e per la tenuta democratica del Paese. L’uscita dall’Anm di una figura come Di Matteo pone interrogativi scomodi sull’attuale stato di salute della magistratura associata.
Se uno dei magistrati più esposti nella lotta alla criminalità organizzata non si riconosce più nell’organizzazione che dovrebbe tutelarne l’indipendenza, significa che qualcosa si è irrimediabilmente rotto. Le correnti, nate per garantire pluralismo e confronto democratico all’interno della magistratura, sono diventate secondo Di Matteo strumenti di potere e di carriera, lontani dall’interesse generale.
