La giovane, identificata con la sola iniziale “E.”, aveva utilizzato la nota piattaforma Doctolib per fissare l’appuntamento. Accompagnata dal compagno, si era presentata nello studio del dottor Acharian con la legittima aspettativa di essere visitata come qualsiasi altra paziente. Invece, poco prima dell’esame, la segreteria la informò che il medico non l’avrebbe ricevuta. Il motivo fu esplicitato senza mezzi termini dallo stesso ginecologo in una replica a una recensione negativa lasciata online dal compagno della donna: “Non ho competenza per curare UOMINI, anche se si sono rasati la barba e vengono a dire alla mia segretaria che sono diventati donne”.
La reazione della coppia non si fece attendere. La giovane trans denunciò il medico per discriminazione e insulti sessisti, attivando un iter giudiziario che si è concluso solo due anni e mezzo dopo. In aula, il professor Acharian, già noto per posizioni controverse, ammise di aver utilizzato un linguaggio “molto offensivo”, scusandosi con le parole: “Ho ferito molte persone, non volevo essere cattivo”. La sua difesa aveva provato a sostenere che il rifiuto non fosse legato all’identità di genere della paziente, ma alla mancanza di competenze specifiche per trattare casi di transizione ormonale. Tuttavia, il tribunale non ha ritenuto plausibile questa giustificazione, considerando il linguaggio usato dal medico come inequivocabilmente discriminatorio.
Il caso ha acceso un acceso dibattito in Francia, dove la legge punisce con severità le discriminazioni fondate sull’identità di genere. Il dottor Acharian non è nuovo a sanzioni: era già stato sospeso per sei mesi dall’Ordine dei Medici per comportamenti analoghi. La sentenza di Pau rappresenta ora un precedente giuridico significativo, soprattutto in un settore delicato come quello della medicina ginecologica, dove il rapporto di fiducia tra paziente e medico è fondamentale, ma dove si scontrano sempre più spesso principi etici, diritti individuali e libertà professionali.