Mario Draghi
In un discorso che scuote i palazzi europei, Mario Draghi, ex presidente del Consiglio italiano e della Banca Centrale Europea, ha lanciato un monito severo: l’obiettivo UE del 2035 per azzerare le emissioni delle auto potrebbe trasformarsi in un boomerang, consegnando fette di mercato alla Cina e compromettendo la competitività del Vecchio Continente.
Parlando a una conferenza dedicata al suo rapporto sulla competitività europea, Draghi ha dipinto un quadro allarmante, dove ambizioni ambientali si scontrano con realtà industriali impreparate. Il lead è chiaro: l’Unione Europea si trova a un bivio. Da un lato, la scadenza del 2035 per veicoli a emissioni nette zero era concepita come un catalizzatore per l’innovazione; dall’altro, il rischio è di un fallimento epocale.
“Attenersi rigidamente all’obiettivo del 2035 potrebbe rivelarsi irrealizzabile e rischia di consegnare quote di mercato ad altri, soprattutto alla Cina”, ha dichiarato Draghi, puntando il dito contro una transizione elettrica che procede a singhiozzo.
Analizzando il contesto, Draghi ha sottolineato come il regolamento sulle emissioni di CO2, in revisione nei prossimi mesi, debba abbracciare un “approccio tecnologicamente neutrale”. Non solo batterie e motori elettrici, ma un ventaglio di soluzioni che includa lo sviluppo di infrastrutture e carburanti a zero emissioni.
“Serve un approccio integrato sui veicoli elettrici, che copra catene di approvvigionamenti, infrastrutture e potenzialità dei carburanti a zero emissioni di carbonio”, ha insistito l’economista, evocando una strategia olistica per un settore che impiega oltre 13 milioni di persone lungo l’intera catena del valore.
Il ritmo della transizione, però, è lontano dalle aspettative. Draghi ha ricordato come la scadenza del 2035 fosse pensata per innescare un “circolo virtuoso”: obiettivi chiari per stimolare investimenti in infrastrutture di ricarica, espandere il mercato interno e spingere l’innovazione. Invece, il mercato dei veicoli elettrici è cresciuto “più lentamente del previsto”, con l’innovazione europea che arranca e modelli che restano costosi per il consumatore medio.
Nei prossimi mesi, il settore automobilistico diventerà il banco di prova per l’Europa. “Metterà alla prova la capacità dell’Europa di allineare regolamentazione, infrastrutture e sviluppo delle catene di fornitura in una strategia coerente”, ha avvertito Draghi, narrando un’industria sotto pressione.
Il parco auto europeo, con i suoi 250 milioni di veicoli, sta invecchiando rapidamente, e le emissioni di CO2 sono calate solo marginalmente negli ultimi anni. Un dato su tutti: l’installazione dei punti di ricarica deve accelerare “di 3-4 volte nei prossimi cinque anni” per garantire una copertura adeguata. Senza questo balzo, il circolo virtuoso si trasforma in un circolo vizioso, con catene di fornitura frammentate e dipendenza da fornitori esteri, Cina in primis.
Draghi non si limita alla diagnosi: propone una via d’uscita. La politica industriale deve sincronizzarsi con quella ambientale, sviluppando in parallelo industrie come quelle delle batterie e dei microprocessori. “Ma non è avvenuto”, ha ammesso con franchezza, evidenziando un gap tra ambizioni e realtà che minaccia posti di lavoro e sovranità economica.
In questo equilibrio tra narrazione e analisi, emerge un’Europa divisa: da un lato, leader come Germania e Francia spingono per l’elettrico; dall’altro, la concorrenza globale erode quote di mercato. Draghi, con la sua autorevolezza, chiama a un ripensamento urgente, prima che il 2035 diventi sinonimo di sconfitta.
Il rapporto di Draghi non è solo un allarme, ma un blueprint per il futuro. Insistendo su un “punto sugli sviluppi di mercato e tecnologici”, l’ex premier invita Bruxelles a flessibilizzare le regole senza abdicare agli obiettivi climatici. È un appello al realismo: l’Europa non può permettersi di perdere terreno in un settore chiave per l’economia verde.
Mentre il dibattito infuria nei corridoi del Parlamento europeo, le parole di Draghi riecheggiano come un campanello d’allarme. Il settore auto, pilastro dell’economia UE, rischia di diventare vittima delle sue stesse ambizioni se non si adatta rapidamente. Con 13 milioni di posti di lavoro in bilico, la posta in gioco è altissima.