Le differenze derivano dal prezzo della materia prima, dai costi di rete e di dispacciamento più elevati e da minori compensazioni sui costi indiretti Ets. Nel primo semestre 2025, le imprese italiane hanno pagato in media 278 euro/MWh, contro i 242 della Germania, i 183 della Francia, 171 della Spagna e i 216 della media europea. Il prezzo italiano è dunque quasi il 30% in più della media Ue, con un aggravio che incide trasversalmente su pmi e grandi consumatori.
Secondo i dati Gme (gennaio-ottobre 2025), il prezzo medio dell’energia elettrica all’ingrosso in Italia è stato di 116 euro/Mwh, contro gli 87 della Germania, i 65 della Spagna e i 61 della Francia. Un divario che riflette la diversa composizione del mix energetico: in Italia, il gas naturale copre il 70% delle ore di produzione; in Francia domina il nucleare; in Germania prevalgono carbone ed eolico; in Spagna, il mix è più bilanciato tra gas, nucleare e rinnovabili.
Il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica viene definito, ogni ora, dall’impianto più costoso ancora necessario per soddisfare la domanda: è la cosiddetta “tecnologia marginale”. In Italia, per la maggior parte delle ore, questo ruolo è svolto da centrali termoelettriche alimentate a gas naturale, che emettono CO2. In Paesi come Francia e Spagna, invece, il mix include una quota rilevante di nucleare, che non emette CO2 in fase di generazione e spesso determina il prezzo.