Benjamin Netanyahu
La situazione nella Striscia di Gaza ha raggiunto un punto di svolta critico, con fonti dell’entourage del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che annunciano una decisione senza precedenti: “Il dado è tratto, procederemo all’occupazione totale della Striscia di Gaza”. L’annuncio, diffuso attraverso una “fonte importante” dell’ufficio del premier durante il telegiornale serale più seguito del Paese, segna un’escalation significativa nel conflitto che dura ormai da quasi due anni.
Nelle ultime ventiquattro ore, il ministero della Sanità dell’enclave palestinese ha registrato almeno 94 vittime palestinesi, di cui 29 persone che si trovavano in attesa di ricevere aiuti umanitari. Il numero dei feriti ha raggiunto quota 439, con 300 individui colpiti mentre aspettavano assistenza umanitaria.
Secondo i dati ufficiali del ministero palestinese, il bilancio complessivo delle persone colpite durante la ricerca di aiuti ha raggiunto proporzioni drammatiche: 1.516 morti e oltre 10.067 feriti. Questi numeri evidenziano la crescente pericolosità delle operazioni di soccorso umanitario nella regione.
La decisione israeliana di procedere verso un’occupazione totale della Striscia appare motivata dalla convinzione che Hamas non rilascerà altri ostaggi senza una resa completa. “Se non agiamo ora, i rapiti moriranno di fame, la Striscia resterà sotto il controllo dei terroristi”, ha dichiarato la fonte anonima, anticipando operazioni anche nelle aree dove si trovano ostaggi.
Secondo il quotidiano Ynet, Netanyahu avrebbe ottenuto il via libera dall’amministrazione Trump per lanciare un’operazione contro Hamas. Dopo la visita dell’inviato speciale americano Steve Witkoff nel fine settimana, Washington e Gerusalemme avrebbero convenuto che l’organizzazione palestinese non intende raggiungere un accordo negoziale.
La decisione non è priva di controversie interne. Il capo di stato maggiore Eyal Zamir ha informato il gabinetto delle difficoltà operative di una conquista dell’enclave, stimando che “ci vorrebbero anni” per completare l’operazione. La risposta dell’entourage del premier è stata perentoria: “Se al capo di stato maggiore non va bene, che si dimetta”.
Le forze armate israeliane (Tsahal) si trovano ad affrontare una situazione complessa sul terreno, dove i soldati combattono da quasi due anni con richiami consecutivi che raggiungono le 10-12 mobilitazioni. L’esercito deve confrontarsi con una guerriglia motivata e ben organizzata, in un contesto urbano densamente popolato.
La situazione si è ulteriormente aggravata dopo la diffusione di video che mostrano due ostaggi ventenni, Evyatar David e Rom Breslavski, in condizioni fisiche drammatiche. Secondo esperti medici, i due giovani avrebbero perso circa la metà del loro peso corporeo rispetto al momento del rapimento.
La Croce Rossa Internazionale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno lanciato un appello urgente, definendosi “sconvolte dai filmati” e chiedendo “il rilascio immediato e incondizionato” degli ostaggi, oltre all’accesso a cibo e cure mediche.
Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar si è recato a New York, dove martedì le Nazioni Unite terranno una sessione speciale sui rapiti. Nel frattempo, decine di ex dirigenti dei servizi di sicurezza israeliani, inclusi veterani del Mossad, dello Shin Bet e dell’IDF, hanno diffuso un video chiedendo la fine della guerra.
Una lettera firmata da 600 ex funzionari della sicurezza israeliana è stata inviata al presidente Trump, sollecitando il sostegno americano per concludere il conflitto. L’amministrazione statunitense ha risposto annunciando il divieto di aiuti federali per catastrofi naturali agli stati e città che boicottano le aziende israeliane.
La tensione regionale è stata evidenziata dal lancio di un missile balistico dallo Yemen contro Israele, successivamente intercettato dalle difese aeree israeliane. L’attacco degli Houthi ha provocato l’attivazione delle sirene nelle zone centrali di Israele e nelle comunità vicino a Gerusalemme, dimostrando l’estensione geografica del conflitto.
Mentre Netanyahu si prepara a presentare una proposta formale al gabinetto di sicurezza per ordinare all’IDF la conquista della Striscia, la sconfitta di Hamas e la liberazione degli ostaggi, gli analisti internazionali osservano che questa mossa potrebbe rappresentare una tattica negoziale per aumentare la pressione sull’organizzazione palestinese, che “non ha più nulla da perdere”.
La sfida per il governo israeliano sarà conciliare le operazioni militari con il passaggio di aiuti umanitari, come garantito agli Stati Uniti, in un contesto operativo estremamente complesso e con una popolazione civile già duramente colpita dal conflitto.