Gene “suicida” abbatte rischi in trapianti midollo da genitore

Gene “suicida” abbatte rischi in trapianti midollo da genitore
25 novembre 2016

I ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù hanno messo a punto una nuova tecnica che riduce a zero il rischio di mortalità nei bambini affetti da difetti congeniti del sistema immunitario che necessitano, in assenza di un donatore compatibile, del trapianto di midollo da uno dei genitori. Il risultato eccezionale è stato ottenuto grazie all’utilizzo di un gene “suicida” in grado di tenere sotto controllo eventuali infezioni dovute al trapianto. È la prima sperimentazione di questo genere nel mondo. I dati verranno presentati a San Diego in California, il 3 dicembre 2016 nel corso del 58esimo meeting annuale della società americana di ematologia (American Society of Hematology, ASH) e dimostrano una guarigione del 100% dei bambini con immunodeficienze primitive. Tutti i 20 pazienti trattati con l’infusione del gene suicida hanno fatto registrare la completa riuscita del trapianto di midollo. Questi risultati sono in corso di validazione anche per i pazienti leucemici. I ricercatori si aspettano, infatti, che le cellule del donatore modificate con il gene suicida, oltre ad abbattere la possibilità di infezione, possano nei pazienti leucemici ridurre il rischio che la malattia si ripresenti.

Le cellule linfocitarie del genitore vengono prelevate e manipolate geneticamente per favorire il recupero dell’immunità adattiva, che protegge il paziente dalle infezioni virali o fungine. Una volta reinfuse, dunque, queste cellule si espandono e contribuiscono a proteggere il paziente. Può però accadere che aggrediscano l’organismo del ricevente (graft versus host disease): si tratta di una delle maggiori cause di morte in caso di trapianto ed è uno dei motivi per cui spesso si evita questa procedura in casi di malattie che non mettono a immediato rischio la sopravvivenza del paziente (malattie del sangue non neoplastiche). La tecnica messa a punto dal Bambino Gesù permette ora di combattere e sconfiggere l’aggressione da parte delle cellule del donatore. Prima di iniziare il percorso trapiantologico, infatti, dal genitore vengono prelevate le cellule linfocitarie del sangue nelle quali viene inserito il gene suicida (inducibilecaspase-9 o iC9). Il tutto viene poi congelato. Due settimane circa dopo il trapianto, le cellule modificate geneticamente vengono scongelate e infuse nel bambino. Se tutto procede senza complicazioni, il gene suicida resta dormiente. Se, al contrario, si dovesse scatenare l’aggressione delle cellule del donatore nei confronti dell’organismo del paziente, si può intervenire per bloccarla. Basta iniettare nel paziente un agente di per sé inerte ma attivante il gene suicida, l’AP1903.

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