Politica

Abe spiazzato da Trump e da scandali pensa incontro con Kim

E’ uno Shinzo Abe nell’angolo, quello che starebbe valutando un gesto eclatante: incontrare il leader nordcoreano Kim Jong Un, dopo che il presidente Usa Donald Trump ha annunciato a sorpresa un vertice per maggio spiazzando tutti, ivi compreso l’alleato di Tokyo. Fonti governative giapponesi hanno fatto trapelare la notizia che Abe sta valutando la possibilità dello storico vertice, dopo che l’inviato sudcoreano Suh Hoon, che è stato parte della delegazione inviata a Pyongyang dal presidente sudcoreano Moon Jae-in per dare corso al dialogo aperto con le Olimpiadi invernali di PyeongChang, l’ha incontrato la scorsa settimana. Abe è sempre stato la punta di un approccio più duro alla crisi nucleare e missilistica nordcoreana, basata sulla massima pressione, senza tuttavia arrivare all’ipotesi di un intervento militare, che farebbe trovare il Giappone inevitabilmente in prima linea rispetto a possibili rappresaglie di Pyongyang. Tuttavia per il premier giapponese i vertici con i membri della famiglia Kim non sono affatto una novità. L’attuale capo del governo nipponico era il braccio destro dell’allora primo ministro Junichiro Koizumi che volò nel 2001 a Pyongyang per incontrare l’allora numero uno nordcoreano Kim Jong Il, il padre di Kim Jong Un. Abe era parte della delegazione. Ora come allora al centro degli eventuali colloqui potrebbe essere la vicenda dei giapponesi rapiti negli anni ’70 e ’80 da spie nordcoreane in territorio giapponese e in Europa. Si parla di 17 rapimenti accertati – ma su centinaia di altre scomparse esiste un sospetto – e di 13 ammessi proprio nel vertice del 2001 dai nordcoreani. Solo cinque dei rapiti sono riusciti, rocambolescamente, a tornare in Giappone. Tra le persone sequestrate c’è anche l’allora tredicenne Megumi Yokota, che Pyongyang dà per morta senza fornire alcuna prova solida a riguardo.

“Per risolvere la questione dei rapimenti è essenziale il dialogo diretto col vertice”, ha detto una fonte dell’ufficio di Abe secondo l’agenzia di stampa Kyodo, alla quale anche una seconda fonte governativa di alto livello ha confermato lo sviluppo: “Il Giappone e la Corea del Nord possono discutere al questione dei rapimenti e la normalizzazione dei rapporti bilaterali”. Se si tenesse, sarebbe il terzo vertice tra premier giapponesi e leader nordcoreani. Oltre a quello del 2001, già citato, Koizumi andò una seconda volta a Pyongyang nel 2004. I due paesi non intrattengono rapporti diplomatici. Nonostante non vi sia ancora nulla di ufficiale, anche le dichiarazioni pubbliche del portavoce del governo, il capo di gabinetto Yoshihide Suga, non hanno smentito. Il Giappone, ha detto rispondendo a uan domanda, “considera tutte le azioni dalla prospettiva di quella che è più efficace”. Finora Tokyo aveva descritto le aperture nordcoreane – con la promessa di congelare i test nucleari e missilistici e di puntare, ottenuta la garanzia di sicurezza, a una denuclearizzazione della Penisola coreana – come un tentativo del regime di Pyongyang di prendere tempo, mentre procede verso il rafforzamento del suo arsenale. La svolta di Abe potrebbe avere, secondo molti osservatori, una spiegazione tattica per il capo del governo di Tokyo, finito nell’angolo da un lato per la repentina e inattesa svolta di Trump sulla Corea del Nord, sia per uno scandalo interno che lo sta facendo crollare nei sondaggi.

La decisione di Trump di mettere in programma un summit con Kim non è stata concordata con Tokyo, nonostante tutti gli sforzi fatti da Abe per accreditarsi come principale alleato della Casa bianca. Il Giappone ha tutto da perdere da un summit nel quale potrebbero emergere due esiti: un’inattesa decisione del presidente americano di alleggerire la presenza militare in Asia orientale, cruciale per la sicurezza nipponica, o il fallimento del dialogo con un’inasprimento della tensione. L’annuncio del summit per un canto e il siluramento della “colomba” Rex Tillerson da segretario di Stato sostituito dall’ex capo della Cia Mike Pompeo, un falco, per l’altro, hanno dato segnali ambigui su quale possa essere l’esito di questo passaggio. Tokyo non vuole subire passivamente queste decisione e non vuole, qualsiasi siano i risultati di questo dialogo, essi possano manifestarsi senza alcun suo intervento. Sul fronte interno, invece, il governo di Abe è al centro di un pesante scandalo che riguarda l’acquisto a prezzo molto scontato di un pezzo di terreno pubblico da parte di una società che gestisce una scuola – la Moritomo Gakuen – dai connotati molto nazionalisti, legata ad Abe e soprattutto alla moglie, Akie. Nei giorni scorsi è emerso che il ministero delle Finanze, guidato dall’alleato di Abe più di peso, Taro Aso, ha fatto sparire alcune comunicazioni relative all’acquisto imbarazzanti per gli Abe. Il primo ministro è stato costretto a chinare la testa in segno di scuse, pur affermando solennemente di non aver chiesto lui la cancellazione di quelle informazioni. Lo scandalo rischia di danneggiare la sua corsa alla riconferma alla testa del Partito liberaldemocratico, le cui elezioni per la leadership si terranno a settembre. Nel sistema giapponese il leader del partito di maggioranza diventa automaticamente anche premier. Un vertice storico con Kim, se si tenesse, sposterebbe immediatamente i riflettori dallo scandalo, in uno scenario speculare a quello che si dice abbia spinto Trump a dire sì al vertice e con un metodo già sperimentato lo scorso anno, quando Abe convocò elezioni – poi vinte con ampio margine – anche per spazzar via le prime avvisaglie dello stesso scandalo che si stavano già manifestando.

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