Gli stranieri rifugiati in Polonia: al confine prima gli ucraini

Gli stranieri rifugiati in Polonia: al confine prima gli ucraini
1 marzo 2022

Stranieri che vivono in Ucraina si rifugiano in Polonia, attraversando il posto di controllo di Medyka, nel tentativo disperato di scappare dall’invasione russa del Paese, giunta al sesto giorno. In molti denunciano maltrattamenti e discriminazioni. “Ho visto persone svenute, picchiate, anche morte, puoi vedere persone con infarti perché era così affollato e la gente che tentava di attraversare – racconta ad Afp Fedy Ben Bahim, cittadino di nazionalità tunisina che studia medicina a Dnipro – per me erano 5 persone, poi 10 in un’ora, cadevano”. “Oggi quando sono arrivato, ho visto il mio amico dell’ultima frontiera dove ti fanno il timbro sul visto per venire in Polonia, ho visto che aveva un esaurimento nervoso, sapeva solo il suo nome, non ha neanche reagito quando mi ha visto, non parlava con nessuno, stava cercando di trovare il suo telefono e passaporto, lo sto cercando, perché le guardie e i soldati non si preoccupano di questo, se muori, muori. Ho visto molte persone trasportate a braccia nella folla portate dai soldati ma nessuno si muove, niente, non ci sono reazioni, è assolutamente brutale”.

“In questo villaggio di cui ti parlavo (Shenynil) c’era l’inferno – spiega ad Afp Kevin Riofrìo Maldonado, cittadino spagnolo che vive a Kiev – non potevamo nemmeno ricaricare i nostri telefonini, eravamo tutti senza batteria, tagliati fuori compleamente, volevamo attaccare la presa e loro dicevano no, che non eravamo ucraini. Ci hanno chiesto 500 euro a testa per salire su un autobus e nemmeno così, dopo parlavano con i soldati e no, solo gli ucraini. Non so, sentivamo che le nostre vite non valevano niente se non eri ucraino”. “Sono arrivato a un punto in cui, onestamente volevo solo morire, perché era una delusione dietro l’altra, tutti raggiungiamo un limite, abbiamo superato i nostri limiti molto tempo fa, perdevamo la testa, volevo dire basta. Ero come un robot, sapevo che dovevo uscire ed eseguivo quell’azione, ma mentalmente non ero più una persona, ero impotente perché non riuscivo a lasciare un paese dove non volevo stare”. “Loro (i soldati ucraini) – rivela ad Afp Ramy Ben Hanidouch, algerino, che lavora a Kiev – non sapevano come gestirla. Era molto semplice, non devi gridare, non devi picchiarci, hanno usato la corrente per spaventarci. Non ce n’era bisogno”.

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