Cina attendista: scelta studiata o incertezza diplomatica?

Cina attendista: scelta studiata o incertezza diplomatica?
I presidenti cinese, Xi Jinping e russo, Vladimir Putin
17 marzo 2022

La Cina, teoricamente, si troverebbe in posizione per svolgere un ruolo attivo di mediazione per contribuire a una fine delle ostilità in Ucraina. Tuttavia – tirata dalla giacchetta dall’Occidente e dalla Russia – al momento ha assunto una posizione attendista, che a lungo andare potrebbe apparire un segno di debolezza più che una posizione tattica per avere un peso nella soluzione del conflitto. Pechino non ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina. Ancora ieri il capo della Nato Jens Stoltenberg chiedeva alla Cina di fare questo passo, ma un portavoce della missione cinese presso l’Ue – secondo quanto riporta il Financial Times – ha rintuzzato la richiesta: “Il popolo cinese comprende bene la sofferenza e la pena di altri paesi, perché mai dimenticherà chi ha bombardato la nostra ambasciata nella Repubblica federale di Jugoslavia”. Un riferimento caustico alla distruzione della sede diplomatica di Belgrado nel 1999 a opera di aerei Nato.

“Non abbiamo bisogno – ha continuato – di lezioni di giustizia da chi abusa della legge internazionale (…) La Nato continua ad allargare il suo campo geografico e avrebbe bisogno di fare una riflessione”. Sempre oggi, però, l’ambasciatore cinese in Ucraina Fan Xianrong, nel corso di un incontro con l’amministrazione militare di Leopoli, ha detto che la Cina “non attaccherà mai l’Ucraina” ma la sosterrà “economicamente” e politicamente. E ha aggiunto: “Rispetteremo sempre il vostro stato” e “la strada scelta dagli ucraini perché è il diritto di sovranità di ogni nazione”. Un colpo al cerchio e l’altro alla botte, coerentemente anche con quanto dichiarato dai vertici cinesi che, da un lato, ribadiscono la tradizionale dottrina dell’inviolabilità dei confini e della non interferenza negli affari interni dei paesi, mentre dall’altro sostengono che andrebbe dato ascolto alla legittima preoccupazione di sicurezza della Russia. Affermazioni, queste, che vengono a frizione nel teatro ucraino, dove la linea politica di un governo riconosciuto da Pechino, quello di Kiev, è in rotta di collisione con gli interessi di un altro governo amico di Pechino.

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Appare evidente, da quanto traspare, che Pechino non sia a suo agio in questa situazione. All’indomani del lungo e abbastanza inconcludente incontro di Roma tra il membro del Politburo Yang Jiechi e il consigliere di sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan, sul Washington Post è apparso un significativo contributo dell’ambasciatore cinese negli Usa Qin Gang. Dopo aver, come di prammatica, accusato i politici statunitensi di diffondere fake news contro la Cina, ha respinto la notizia secondo la quale Pechino sarebbe stata preavvertita da Washington segnalando che c’erano 6mila cinesi al momento dell’attacco in Ucraina, che la Cina è il principale partner commerciale sia di Mosca che di Kiev e il più grande importatore di petrolio e gas – e quindi non certo felice per i prezzi di queste risorse schizzati in cielo – e che quindi non ha alcun vantaggio a vedere il conflitto dispiegarsi in un momento in cui cercava di cogliere la ripresa economica globale. “Se la Cina avesse saputo prima della crisi imminente – ha affermato il diplomatico – avrebbe fatto del suo meglio per prevenirla”. Le dichiarazioni di Qin, ieri, sono state pienamente avallate dal portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian: “L’ambasciatore Qin Gang ha chiarito abbastanza nel suo articolo. Come paese sovrano, la Russia ha il diritto id prendere le sue decisioni. Non c’è necessariamente una connessione tra questo e le relazioni sino-russe”.

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Queste dichiarazioni fanno trasparire come la Cina sia sulla difensiva e che il suo attendismo non sia necessariamente studiato. E per capirlo bisogna fare un passo al 4 febbraio, quando vennero inaugurate le Olimpiadi invernali di Pechino e Vladimir Putin fu l’ospite d’onore, mentre l’Occidente boicottava o ridimensionava la cerimonia. In quell’occasione – segnala in un’analisi oggi il Nikkei Asia – ci fu un incontro a latere tra Putin e il presidente cinese Xi Jinping. Dai colloqui uscì una dichiarazione congiunta di 15 cartelle formato A4, nelle quali si evidenziavano le comuni posizioni tra le due potenze – tra le quali il no all’espansione della Nato – e si affermava una partnership “illimitata” tra Russia e Cina. Una partnership illimitata è un’alleanza? Di certo qualcosa che le somiglia. Ma la cosa più interessante, a quanto sottolinea il Nikkei, è che a pubblicare rapidamente il documento fu il Cremlino per esteso, mentre Pechino si limitò a rendere noto solo un breve sommario. In più, l’agenzia di stampa Xinhua ci mise cinque ore per pubblicare il documento per intero, e solo in cinese mandarino. La suggestione è che solo Mosca avesse interesse a far conoscere i dettagli del documento, tanto che il Nikkei Asia si chiede se Xi sia stato, in questo caso, il “giocatore o quello che è stato giocato”?

Washington, alla luce di queste osservazioni, sta incalzando Pechino e sta ripetendo che guarda con grande attenzione a come si comporterà la Cina e che non le consentirà di andare in soccorso della Russia, anche aggirando le sanzioni alle quali la Cina continua a dirsi contraria. Non a caso fa emergere notizie, come quella secondo la quale Mosca avrebbe chiesto sostegno militare a Pechino e che questa si sarebbe detta aperta alla possibilità. Ovviamente, la Cina ha smentito che vi sia mai stata una richiesta russa in tal senso. Per la diplomazia cinese, quindi, il tempo stringe. Non può ancora mantenere a lungo una posizione così statica, senza agire schierarsi e senza nel contempo assumere una posizione diplomatica decisa rispetto a possibili negoziati. Questa consapevolezza si sta manifestando anche nei circoli degli analisti a Pechino. Ha fatto un certo scalpore un articolo censurato del 5 marzo scritto da Hu Wei, che non è un dissidente ma il vicepresidente del Centro di ricerca sulle politiche pubbliche dell’Ufficio dei consiglieri del Consiglio di Stato, cioè sostanzialmente un consulente del governo. “La Cina non può essere legata a Putin, deve tagliare il prima possibile”, ha scritto Hu. “In base alle attuali circostanze internazionali – ha continuato – la Cina può solo procedere nella salvaguardia dei suoi principali interessi, scegliendo il minore dei mali e liberandosi del peso della Russia. (…)”. Forse è una posizione troppo netta, ancora poco messa a fuoco da Pechino, ma certamente coglie il rischio che la Cina possa rimanere politicamente col cerino in mano.

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