Hiv e infezioni sessuali, l’allarme degli infettivologi: troppi casi scoperti quando è tardi

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Le diagnosi continuano ad arrivare in ritardo, quando il danno è già fatto. Accade con l’Hiv e accade con le infezioni sessualmente trasmesse, che in Italia e in Europa crescono soprattutto tra i giovani. Il risultato è un doppio paradosso: terapie sempre più efficaci, ma prevenzione fragile; strumenti avanzati, ma test ancora poco diffusi. L’allarme arriva dal XXIV Congresso della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), dove i dati confermano una criticità strutturale.

Hiv e Ist condividono lo stesso punto debole: vengono intercettate troppo tardi. Una diagnosi che arriva in ritardo ostacola la prevenzione, rende meno efficace il trattamento e favorisce la trasmissione. Nel caso delle infezioni sessualmente trasmesse significa lasciare circolare indisturbate gonorrea, sifilide e clamidia, aumentando complicanze e rischio di infertilità. Nel caso dell’Hiv vuol dire perdere mesi, talvolta anni, prima di iniziare una terapia capace di portare alla soppressione virale e rendere l’infezione non trasmissibile, secondo il principio ormai consolidato dell’“undetectable equals untransmittable”.

Prevenzione fragile e diagnosi che arrivano tardi

Il quadro diventa ancora più preoccupante se si guarda all’andamento delle Ist. Secondo il Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità, in Europa i casi di gonorrea nel 2023 hanno sfiorato quota 97 mila, contro i 70 mila dell’anno precedente. In Italia l’aumento è altrettanto netto: in due anni i casi di gonorrea sono quasi raddoppiati, con una crescita significativa anche di sifilide e clamidia.

A spingere il trend concorrono più fattori. La ripresa dei contatti sociali dopo la pandemia, l’aumento dei rapporti occasionali facilitati dalle app di incontri, la diminuzione dell’uso del profilattico e una percezione del rischio sessuale sempre più bassa, soprattutto tra i più giovani. Particolarmente allarmante è la diffusione della gonorrea faringea, che rappresenta circa il 20 per cento delle nuove diagnosi e colpisce in prevalenza ragazze tra i 15 e i 24 anni. Un dato che conferma come il sesso orale venga ancora considerato, erroneamente, privo di rischi.

Giovani, sesso orale e rischi sottovalutati

A complicare ulteriormente la situazione è la natura spesso silenziosa delle Ist. Circa un quarto dei casi di clamidia o gonorrea decorre senza sintomi evidenti o con disturbi lievi. Il risultato è un accesso tardivo ai test, che favorisce la trasmissione e aumenta la probabilità di complicanze severe, problemi in gravidanza e infertilità.

Il legame tra Ist e Hiv è stretto e ben documentato. Nel 2023 il 13 per cento delle persone con una infezione sessualmente trasmessa risultava positivo anche all’Hiv: una proporzione quaranta volte superiore rispetto alla popolazione adulta generale. Il fatto che il 94 per cento fosse consapevole della propria sieropositività suggerisce un effetto collaterale della terapia antiretrovirale: la protezione garantita dalla soppressione virale può aver ridotto l’attenzione verso le altre Ist, che continuano a circolare.

Ist e Hiv, un legame ancora sottovalutato

Sul fronte dell’Hiv, la medicina ha compiuto passi enormi. Oltre il 95 per cento delle persone in terapia raggiunge la soppressione virale, trasformando l’infezione in una condizione cronica controllabile e non trasmissibile. I farmaci long acting, in formulazione iniettabile ogni due mesi, rappresentano una svolta: migliorano l’aderenza, riducono lo stigma e semplificano il monitoraggio clinico. Anche la Profilassi pre-esposizione si conferma uno strumento altamente efficace nel prevenire il contagio.

Eppure il bollettino Iss più recente fotografa una realtà ancora problematica. Nel 2024 le nuove diagnosi di Hiv sono state 2.379, in linea con l’anno precedente, ma il 60 per cento è avvenuto in fase tardiva. Ancora più grave il dato sui nuovi casi di Aids: l’83,6 per cento riguarda persone che hanno scoperto di essere sieropositive solo nei sei mesi precedenti.

Hiv, terapie efficaci ma test insufficienti

Alla base c’è un doppio meccanismo. Da un lato la riduzione delle diagnosi recenti grazie alla Prep e al trattamento come prevenzione; dall’altro la persistenza dello stigma e la scarsa abitudine al test Hiv, che spinge molte persone a rivolgersi ai servizi sanitari solo quando compaiono sintomi avanzati. A pesare è anche un’interpretazione eccessivamente prudenziale della legge 135 del 1990, che in alcuni contesti scoraggia la proposta del test per timore di problemi legati al consenso informato.

Infine, l’aumento della sopravvivenza apre nuove sfide. Le persone con Hiv invecchiano e con l’età aumentano le comorbidità cardiovascolari, oncologiche e legate alla fragilità. Temi centrali al Congresso Simit, dove saranno presentati nuovi studi italiani condotti da centri di riferimento come l’Università di Milano, quella di Modena e Reggio Emilia e l’Università Vita-Salute San Raffaele. Una medicina sempre più avanzata, ma che rischia di arrivare troppo tardi se la diagnosi resta l’anello debole del sistema.