Lo scontro dentro M5s non viene commentato ufficialmente dal Pd e tantomeno da Articolo 1, il refrain è quello della “non ingerenza” negli affari interni di un altro partito, per giunta più o meno alleato. In casa Dem tutti scelgono il low profile, solo Andrea Marcucci dice apertamente quello che pensano in tanti: “Con il M5s di cui parla il ministro Di Maio – europeista, atlantista e solidamente ancorato al governo Draghi – fare subito un’alleanza”. Enrico Letta si tiene a distanza siderale dalle polemiche, limitandosi a richiamare come modello di alleanza quello dell'”Ulivo di Prodi del ’96”, cioè l’Ulivo che vinse le elezioni grazie anche ad un accodo di desistenza con Rifondazione comunista. Uno schema che potrebbe tornare utile per limitare i danni nei collegi uninominali, dove il centrodestra unito finirebbe per fare l’en plein o quasi se il “campo largo” si presentasse diviso.
Ma è chiaro che la possibile spaccatura dei 5 stelle anima le chiacchierate dei parlamentari Pd e anche dei dirigenti di Articolo 1, che con Conte hanno un rapporto privilegiato da tempo. Non a caso, un esponente dei bersaniani minimizza: “Non credo che romperanno, è una lotta perché in ballo c’è la composizione delle liste, il tema del limite del doppio mandato. Applicare questo criterio significherebbe tagliare fuori Di Maio e tanti altri, far votare le deroghe ai militanti non piace a Di Maio e a coloro che dovrebbero sottoporsi al giudizio. Ma troveranno una soluzione”. Del resto, l’asse con M5s e Conte per Bersani è importante, l’ex leader Pd da giorni corregge la definizione lettiana di “campo largo” con “campo dei progressisti”. L’idea di una federazione tra Art. 1 e M5s fa parte di questo schema, unire le energie per andare all’abbraccio con il Pd in condizioni di maggiore forza e non solo come chi torna a casa dopo aver tentato la corsa solitaria.
In casa Pd, però, tanti parlamentari non sono altrettanto ottimisti. “E’ giusto e normale che Letta eviti ogni interferenza, anche perché abbiamo una certa esperienza di scontri interni”, commenta un deputato. Il leader democratico, infatti, vanta un buon rapporto sia con Conte che con Di Maio, pur avendo nell’avvocato – in quanto leader del partito – l’interlocutore naturale. Al Nazareno, per ora, si limitano all’auspicio che lo scontro non si traduca in ulteriore elemento di instabilità per il governo, in momento delicato come quello attuale. Per il resto, ci si limita a rilevare che “da parte di entrambi c’è una buona predisposizione al dialogo col Pd”. In caso di rottura, però, sarebbe molto complicato non scegliere. Certo, il modello “Ulivo del ’96” potrebbe aiutare a trovare una soluzione, ma un parlamentare democratico la vede così: “Se arrivassero alla spaccatura alla fine noi non dovremo fare molto, sarebbero loro a risolvere la questione: Di Maio diventerebbe un naturale alleato, mentre Conte si porrebbe in una posizione alternativa a quella europeista, atlantista, filo-Draghi che è la nostra. La scelta la farebbero loro”.
Resta il fatto che Letta rimane convinto che la destra resterà unita, nessuno nel Pd crede molto ad uno smarcamento di Matteo Salvini sulla legge elettorale. E, in quel caso, la forza dei numeri prevale: per competere bisogna unire le forze che non sono di centrodestra. Magari, appunto, come fece “l’Ulivo del ’96”. Allora, Ds e Margherita strinsero una vera e propria alleanza, mentre Rifondazione si limitò alla desistenza nei collegi uninominali per non dare un vantaggio alla destra. Esperienza che potrebbe tornare utile.