Politica

Il Pd di Zingaretti alla prova del fuoco, decisive Puglia-Toscana

E` la prima vera prova del fuoco per Nicola Zingaretti, le europee dello scorso anno in fondo sono state una passeggiata in confronto alle regionali e al referendum del 20 e 21 settembre prossimi. Un doppio giro della morte dal quale dipenderanno le sorti del governo e della segreteria democratica e che dirà molto anche sul futuro dei rapporti tra Pd e M5s, uno schema sul quale scommette il leader Pd che però fa venire il maldipancia a mezzo partito. Nel 2019 il segretario Pd era in carica solo da un paio di mesi, impossibile incolparlo per una eventuale sconfitta, e il partito veniva dal tonfo delle politiche con il 18,7%, un record negativo difficile da peggiorare. Allora andò abbastanza bene, nonostante l`exploit della Lega, il Pd risalendo al 22,7% riuscì a sorpassare M5s in caduta libera.

Stavolta è più difficile, a un anno e mezzo dalla sua elezione Zingaretti si trova di fronte ad un passaggio da “all in”, una mano nella quale ci si gioca tutto, e come in una partita a poker molto dipenderà anche dal caso. Tre a tre, quattro a due, cinque a uno: i destini della segreteria Pd e del governo dipenderanno dalla combinazione di risultati che uscirà dalle urne e almeno in due casi, Toscana e Puglia, la partita potrebbe essere decisa da una manciata di voti. Anche se Enrico Letta e Walter Veltroni sono intervenuti per dire che Zingaretti deve restare comunque al suo posto, comunque vada nelle regioni, nel partito le grandi manovre sono già iniziate da prima dell`estate, quando il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, un tempo renziano ma rimasto nel Pd, è partito all`attacco chiedendo un “nuovo leader” per il partito. Un leader magari da scegliere tra “gli amministratori”, forse quello Stefano Bonaccini in grande ascesa di consensi dopo aver stoppato l`offensiva leghista sull`Emilia Romagna lo scorso gennaio.

La partita vera si gioca fondamentalmente proprio in Toscana e Puglia. Il Veneto è considerato una missione impossibile, ma anche Liguria e Marche sembrano quasi imprendibili, soprattutto per le divisioni della coalizione che a Roma governa insieme: in Liguria è Matteo Renzi a rompere il fronte, in polemica con l`alleanza stretta dal Pd con M5s sul nome di Ferruccio Sansa. Nelle Marche invece sono i 5 stelle a snobbare Maurizio Mangialardi, candidato sostenuto sia da Pd che da Iv. Le mille correnti democratiche sono rimaste quiete dopo il congresso del 2019, grazie anche all`asse nato tra Dario Franceschini, Lorenzo Guerini e Paolo Gentiloni, ma tutto si rimetterebbe in moto se il Pd dovesse vincere solo in Campania – l`ipotesi del “cinque a uno” – come potrebbe accadere nel peggiore degli scenari. La sconfitta in Toscana “aprirebbe probabilmente la strada al congresso anticipato”, assicura un parlamentare Pd. “Forse sarebbe lo stesso Nicola a rimettere il mandato e non escluderei un suo accordo con Bonaccini, che a quel punto si candiderebbe alla guida del partito”.

Altro discorso sarebbe un “quattro a due”, cioè in caso di vittoria anche in Toscana oltre che nella Campania considerata quasi sicura: dopo settimane di allarme per un possibile colpaccio della Lega nella ormai ex roccaforte rossa, eleggere Eugenio Giani sarebbe a questo punto un successo da rivendicare, tanto più che anche in quella regione i 5 stelle hanno deciso di andare per conto proprio. “L`area che guarda a Bonaccini come possibile leader non batterebbe in ritirata, ma diventerebbe più difficile mettere in discussione subito la leadership di Zingaretti”, spiega un parlamentare Pd. In questo contesto, poi, se oltre a Toscana e Campania il Pd vincesse anche in Puglia le regionali diventerebbero una prova di forza per il partito e per il suo leader.

Zingaretti, in ogni caso, già avverte, parlando di sé in terza persona: “La differenza non la fa Zingaretti. E quando ci siamo illusi che la differenza la facesse il leader, abbiamo pagato dei prezzi drammatici, trovandoci di fronte a delle sconfitte drammatiche. La differenza in democrazia la fanno le persone, la comunità, quando capisce la posta in gioco”. Un messaggio chiaro, le responsabilità sono condivise, il partito non è solo il segretario e i risultati che ottiene dipendono dal lavoro di tutti.

“Ma comunque vada – afferma un parlamentare democratico un tempo renziano – ci sarà da discutere sulla strategia di cercare un accordo strategico con M5s. Noi abbiamo votato il taglio dei parlamentari, votiamo sì al referendum e loro non vogliono saperne di fare accordi con noi nelle regionià”. Zingaretti ne è consapevole e per questo da giorni ripete l`appello agli elettori M5s perché scelgano il “voto utile”, cioè il voto al candidato presidente del centrosinistra e non a quello del Movimento: “Gli elettorali sono molto più maturi dei vertici, si può votare il proprio partito ma sulla scelta del presidente si vota quello che può vincere”.

L`obiettivo è replicare quello che è accaduto in Emilia Romagna, dove circa il 20% di chi ha votato la lista M5s ha poi scelto un diverso candidato presidente, verosimilmente Bonaccini. Vincere in Toscana e Puglia anche grazie al voto disgiunto sarebbe una conferma che la linea seguita fin qui funziona, vorrebbe dire che piano piano il Movimento viene “prosciugato” dal Pd, altro che “subalternità” dei democratici. Ma, appunto, tutto potrebbe essere deciso da una manciata di voti. Un voto da “tripla”, per usare un vecchio linguaggio da Totocalcio, una partita dal risultato imprevedibile nella quale la differenza tra la vittoria e la sconfitta la potrebbero fare qualche migliaio di elettori.

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