Il governatore repubblicano del Texas, Greg Abbott, fedelissimo di Trump, ha convocato una sessione speciale dell’Assemblea statale per approvare questa controversa riforma: da 25 seggi attuali, i repubblicani potrebbero salire a 30 su 38, strappando distretti tradizionalmente democratici tramite l’alterazione artificiosa delle mappe elettorali. Per fermare questa manovra, più di 50 deputati democratici hanno scelto una mossa estrema, lasciando lo Stato e rifugiandosi in paradisi politici come Illinois e New York, rompendo il quorum legislativo e paralizzando così l’iter di approvazione. A loro volta, i repubblicani hanno reagito con minacce di arresti, mandati di cattura e hanno coinvolto l’FBI per tentare di farli rientrare con la forza. Il presidente Trump ha apertamente dichiarato che l’FBI “potrebbe dover intervenire” per riportare in Texas i deputati in fuga.
Questa battaglia non si limita al Texas. Da New York alla California, dal Missouri al Maryland e al Wisconsin, ciascuno Stato prepara la propria contromossa o segue le orme di Texas e California, dove i democratici pensano a strategie speculari per cercare di arginare o ribaltare il vantaggio repubblicano. In Florida, Ohio e Indiana, anche i governatori repubblicani programmato riforme anticipate delle mappe elettorali, confermando come la manipolazione dei collegi si stia trasformando in una corsa al consolidamento del potere bipartisan.
Nel sistema maggioritario uninominale statunitense, spiegano gli esperti, il “gerrymandering” mira a sfruttare ogni voto, ridistribuendo artificialmente le aree geografiche per concentrare i voti in modo da massimizzare i seggi conquistati. Tecniche sofisticate includono unire zone ideologicamente simili ma lontane territorialmente o diluire il voto urbano aggregandolo a periferie rurali, creando distretti con composizioni elettorali altamente distorte rispetto alla reale distribuzione della popolazione.
La posta in gioco è altissima: la maggioranza alla Camera, con un vantaggio attuale risicato, può essere decisa proprio da pochi seggi aggiuntivi artificialmente garantiti. Questa strategia però fa emergere contraddizioni profonde del sistema elettorale americano, sollevando interrogativi non solo sull’equità ma sulla stessa qualità della democrazia americana. La pronta escalation tra fughe legislative, minacce autoritarie, pressioni federali e contromosse bipartisan evidenzia una degenerazione delle regole del gioco politico, dove il diritto di rappresentanza sembra piegarsi allo strapotere delle strategie dei potenti.
L’allarme è stato raccolto anche dalle voci autorevoli come Barack Obama e Eric Holder, che definiscono questa evoluzione uno “smacco alla democrazia” e una minaccia “esistenziale”. La crisi del redistricting texano è solo il sintomo di una tensione che rischia di dilagare, segnando un momento di svolta per la politica americana: si profila uno scontro fratricida tra Stati rossi e blu, che in nome del potere erodono la fiducia nelle istituzioni. Il futuro delle elezioni di mid-term sarà un banco di prova decisivo, e la domanda che resta aperta è se gli Stati Uniti sapranno ancora garantire una competizione elettorale libera, trasparente e giusta o se il “gerrymandering” segnerà la definitiva crisi del loro sistema democratico.