Inferno in Afghanistan: il terremoto che strappa 800 vite, bilancio destinato a salire

Il sisma ha colpito nel cuore della notte le province di Kunar e Nangarhar. Una tragedia dentro la tragedia: quella di un paese stremato da crisi umanitarie e isolamento internazionale, ora costretto a contare i suoi morti tra le macerie di interi villaggi rasi al suolo.

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Ottocento morti. È un numero che grida vendetta, una cifra agghiacciante che rappresenta il costo umano immediato del violento terremoto che ha squassato l’Afghanistan orientale. Corpi senza vita estratti dalle macerie di case crollate nelle province di Kunar e Nangarhar, dove la scossa di magnitudo 6 ha centrato il suo bersaglio più fragile.

L’epicentro, a soli 27 chilometri da Jalalabad e a una profondità di appena otto chilometri, ha sprigionato tutta la sua forza distruttiva su una geografia già impervia e su infrastrutture fatiscenti, innescando una conta delle vittime che procede lentamente, tra enormi difficoltà.

Dietro ogni numero c’è una comunità annientata. Fonti governative locali hanno riferito alla BBC di “decine di case ridotte in macerie”, in particolare nella valle di Mazar, in Kunar, dove il sisma ha colpito con ferocia indiscriminata. Le frane hanno bloccato le strade, isolando intere aree e trasformando le operazioni di soccorso in una sfida quasi impossibile.

Senza vie di accesso percorribili, i soccorritori possono contare solo sugli elicotteri per raggiungere i sopravvissuti, in una corsa contro il tempo che si combatte sotto la minaccia costante delle scosse di assestamento, una delle quali di magnitudo 5.2.

La risposta umanitaria e le difficoltà logistiche

La risposta umanitaria, sebbene annunciata, si scontra con enormi ostacoli logistici e con la fragilità cronica di un paese in piena crisi economica e sanitaria. Il portavoce del ministero della Salute, Sharafat Zaman, ha ammesso le difficoltà: “Il numero di vittime e feriti è elevato, ma visto che l’area è di difficile accesso, le nostre squadre sono ancora sul posto”.

A Nangarhar, decine di volontari si sono riversati negli ospedali per donare sangue, un gesto di solidarietà cruciale in un sistema sanitario al collasso. La Farnesina ha confermato che nessun italiano è stato coinvolto nel sisma.

Lo spettro di una catastrofe annunciata

La comunità internazionale inizia a muoversi. Le Nazioni Unite hanno assicurato il loro impegno. Il segretario generale Antonio Guterres, in un post su X, ha promesso che l’ONU “non risparmierà sforzi per assistere le persone in difficoltà”.

Un appello più diretto è arrivato dall’Alto commissario UNHCR Filippo Grandi, che ha sottolineato come il terremoto “aggiunga morte e distruzione ad altre sfide”, dalla siccità al rimpatrio forzato di milioni di afghani, sollecitando la comunità dei donatori a non esitare.

L’Afghanistan giace su una delle faglie sismiche più attive al mondo, il punto di collisione tra la placca indiana e quella euroasiatica. Questa vulnerabilità geologica, unita alla povertà endemica, all’assenza di norme antisismiche e a un territorio in gran parte montuoso, rende ogni terremoto una potenziale catastrofe.

Solo nell’ottobre 2023, una serie di scosse nella regione di Herat causò oltre 2.400 morti. Un anno prima, nel giugno 2022, un sisma di simile intensità nell’est del paese fece più di 1.000 vittime. Una tragica ciclicità che sembra destinata a ripetersi, con il popolo afghano a pagare il prezzo più alto.