Intelligenza artificiale contro la demenza: primi risultati europei

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A Roma, nell’XI Assemblea Generale del progetto Ai-Mind, emergono i primi risultati su 1.022 pazienti con disturbo cognitivo lieve seguiti in quattro centri europei: Madrid, Oslo, Helsinki e Roma. Il 10% è progredito verso la demenza in 24 mesi, il 20% ha mostrato un declino marcato pur restando in fase Mci (Disturbo cognitivo lieve). Lo studio, finanziato con 14 milioni dall’Ue, punta sull’intelligenza artificiale per prevedere i rischi. Coinvolti Irccs San Raffaele Roma e Gemelli, con oltre 275 italiani arruolati.

Il progetto europeo Artificial Intelligence Mind, avviato nel 2021 sotto Horizon 2020, ha monitorato una corte ampia per intercettare l’evoluzione dal lieve declino cognitivo alla demenza. I dati preliminari, presentati ieri all’Irccs San Raffaele Roma da Università Cattolica e Fondazione Policlinico Gemelli, con il contributo della spin-off Neuroconnect, rivelano disparità geografiche e genetiche. In Italia, oltre 950 mila persone convivono con l’Mci; in Europa, la stima di vendita a 10 milioni.

Studio Ai-Mind: dal lieve al rischio demenza

“Il disturbo cognitivo lieve è uno stadio intermedio tra invecchiamento fisiologico e degenerazione patologica”, spiega Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele Roma. “Rappresenta un rischio aumentato di demenza, ma solo nel 30-50% dei casi si osserva progressione reale negli anni”. Nei 24 mesi di follow-up, il 10% dei soggetti ha sviluppato demenza, mentre il 20% ha accusato un calo cognitivo significativo dal basale, senza varcare la soglia patologica.

I partecipanti, reclutati tra il 2021 e il 2023, hanno confrontato valutazioni neuropsicologiche, genetiche e strumentali: biomarcatori plasmatici dell’amiloide, elettroencefalogramma ad alta densità, ripetuti ogni otto mesi. L’Italia guida con 275 arruolati, il contingente maggiore. Il consorzio conta 15 partner da otto Paesi, oltre 100 esperti tra neurologi, geriatri, bioingegneri e informatici, più Alzheimer Europe.

Disparità genetiche tra Nord e Sud Europa

Nelle popolazioni del Nord Europa spicca la variante genetica Apoe4, fattore di rischio per l’Alzheimer. Qui, livelli ematici elevati di p-tau181 e p-tau217 – biomarcatori neurodegenerativi – emergono indipendentemente da età, sesso e istruzione. Tali indicatori, insieme alla genetica, segnalano un’evoluzione più probabile verso l’Alzheimer. Al contrario, i centri meridionali come Madrid e Roma mostrano profili meno aggressivi.

La mole di dati raccolti – socio-demografici, clinici, genetici, biologici, neuropsicologici e neurofisiologici – alimenterà algoritmi di intelligenza artificiale. “Ci attendiamo l’identificazione precisa di profili ad alto rischio per demenza e Alzheimer”, prevede Rossini. I risultati promettono strumenti predittivi per interventi precoci, cruciali in un contesto di invecchiamento demografico accelerato. In Italia, dove l’Mci colpisce quasi un milione di over 65, questi dati appaiono scenari per screening mirati. L’Ue investe 14 milioni per trasformare big data in prognosi affidabili, riducendo l’incidenza della demenza.