Intersos da Bangui: un paese allo sbando, grande attesa per il Papa. Anche tra musulmani

La crisi della Repubblica Centrafricana sarà visibile a Papa Francesco già al suo arrivo all’aeroporto di Bangui, perché a fianco della pista c’è un campo profughi che ospita tra le 8.000 e 12.000 persone, sfuggite alle violenze intercomunitarie esplose dopo il colpo di Stato del marzo 2013. “La zona dell`aeroporto è stata messa in sicurezza, l`accesso sarà bloccato da domenica a lunedi”, ha detto ad askanews da Bangui Luisa Martinazzi, operatrice dell’ong italiana Intersos presente nel Paese dall’inizio della crisi che garantisce cure e assistenza medica, protezione e supporto psicologico alle vittime di violenza, terapie nutrizionali a donne e bambini malnutriti. “Lungo la strada principale che porta all`aeroporto rimarrà chiuso per due giorni anche il mercato (Marché de Combattant) che spesso blocca la circolazione con bancarelle che occupano buona parte della strada”, ha aggiunto Martinazzi, ammettendo che “in un Paese fragile come il Centrafrica fornire un apparato di sicurezza all`altezza è complicato”. Tuttavia, questo non toglie che “le aspettative della popolazione sono grandi” per la visita del Pontefice, “tutti si dicono contenti ed entusiasti e sperano che possa dare un segnale di distensione”. “Anche nelle zone del paese a maggioranza musulmana, come quelle in cui Intersos lavora – ha sottolineato Martinazzi – i leader delle formazioni armate e non solo si dicono positivi e invocano pace e distensione”.

Di fatto, ha precisato Giacomo Franceschini, direttore di Intersos per l’Africa centrale e orientale, la Repubblica Centrafricana “è un Paese allo sbando. Non ha un esercito, non c`è un sistema giuridico, un tribunale che funzioni. Ci sono continue evasioni dal carcere. Non esiste un sistema sanitario, che già prima del golpe aveva grossissimi problemi, così come è carente il sistema educativo, per mancanza di insegnanti e per le strutture decadenti. A fronte dell’assenza di condizioni di sicurezza, i vari gruppi hanno armato la popolazione civile, tanto che si può dire che quasi tutti sono armati”.  Il golpe condotto dalle milizie a maggioranza musulmana, ex Seleka, e le violenze commesse dai miliziani nei mesi successivi alla conquista di Bangui hanno portato alla formazione di milizie cristiane dette anti-balaka (anti-machete), con conseguente inasprirsi di violenze tra le due comunità che oggi vivono separate. A Bangui c’è oggi un solo quartiere musulmano, PK5, dove la popolazione vive barricata, evitando di uscire per paura di aggressioni. “E quello che succede a Bangui si ripete fuori dalla capitale, ma su zone più vaste – ha precisato Franceschini – ci sono intere prefetture controllate da anti-balaka, altre da ex-Seleka, oppure alcune altre dove sono presente entrambe le comunità, ma con una delle due che vive in campi profughi, perché non si sente sicura a rimanere nelle proprie abitazioni, o perché queste sono state occupate”.

Nel Paese è presente una forza Onu (Minusca) di 12.000 uomini e una forza francese di altri 900 uomini, che controllano “i punti strategici, garantiscono la protezione delle forze politiche, dei punti nevralgici, come ospedale, aeroporto e radio, oppure fanno convogli armati per scortare ad esempio i commercianti che devono approvvigionare il Paese”, ha raccontato Franceschini. E in occasione della visita del Papa sono stati inviati altri 300 caschi blu senegalesi. Il Papa ha in programma una visita in un campo sfollati, ma non sarà quello dell’aeroporto, ritenuto troppo difficile da gestire dal punto di vista della sicurezza. Gli sfollati potranno comunque scorgerlo. Freddy, 36 anni, da due anni sulla pista dello scalo, ha detto a Radio France Internationale: “E’ il Santo Padre, quindi se viene nel nostro Paese ci sarà la pace per noi e tornerà la sicurezza, speriamo. E’ importante per noi”.

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