Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha presentato alla Casa Bianca, insieme a un sodale premier israeliano Benjamin Netanyahu, un ambizioso piano di pace in venti punti destinato a chiudere definitivamente il conflitto a Gaza. L’accordo, definito “storico” da Trump e “un passo fondamentale” da Netanyahu, rappresenta la più significativa iniziativa diplomatica dall’inizio delle ostilità.
Il piano ottiene il pieno sostegno di Israele e di numerosi Paesi arabi, tra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania ed Egitto, ma trova un muro nell’organizzazione palestinese Hamas, che attraverso il suo alto funzionario Mahmoud Mardawi lo ha già bollato come “vago” e “vicino alla visione israeliana”.
La prima reazione ufficiale di Hamas non si è fatta attendere. In dichiarazioni riportate da Al Jazeera, l’alto funzionario Mahmoud Mardawi ha affermato che il gruppo non è stato informato prima dell’annuncio e ha bollato il piano come “un tentativo di reprimere lo slancio internazionale per il riconoscimento dello Stato palestinese”.
A differenza di iniziative passate, questo piano arriva con un ampio parterre di sostenitori. Trump ha ringraziato pubblicamente i leader di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Turchia, Indonesia, Pakistan ed Egitto, nazioni che avranno un ruolo chiave nel fare pressione su Hamas.
Anche l’Italia, attraverso una nota di Palazzo Chigi, ha espresso “favore” per la proposta, esortando Hamas a “cogliere questa opportunità” per porre fine alla guerra, rilasciare gli ostaggi e disarmare. Cuore della proposta è la creazione di un “Board of Peace”, un organo internazionale presieduto da Trump stesso – con membri di alto profilo come l’ex Premier britannico Tony Blair – che supervisionerà un comitato tecnico palestinese apolitico per guidare la ricostruzione e lo sviluppo economico di Gaza.
Il documento presentato delinea un processo articolato su diverse fasi. Prevede un cessate il fuoco immediato e il ritiro graduale delle truppe israeliane secondo tempistiche concordate. Entro 72 ore dall’accettazione dell’accordo, dovrebbero essere rilasciati tutti gli ostaggi, vivi o deceduti; in cambio, Israele libererebbe 250 detenuti palestinesi condannati all’ergastolo e altri 1700 abitanti di Gaza arrestati dopo il 7 ottobre 2023.
Il piano garantisce l’amnistia agli esponenti di Hamas che deporranno le armi e accetteranno la smilitarizzazione, e assicura esplicitamente che “nessun palestinese verrà costretto ad andarsene” da Gaza. Sul fronte sicurezza, una Forza internazionale di stabilizzazione (Isf), affiancata da forze palestinesi addestrate e partner regionali, assumerà il controllo interno e dei confini, permettendo il progressivo ritiro delle truppe israeliane. “Israele non occuperà né annetterà Gaza”, si legge esplicitamente nel testo.
Oltre all’emergenza umanitaria e alla sicurezza immediata, il piano disegna un orizzonte politico a lungo termine. Con l’avanzare della ricostruzione e l’attuazione di riforme nell’Autorità Palestinese, il documento prevede che si possano creare le condizioni per un “percorso credibile verso l’autodeterminazione” palestinese.
Credo che oggi stiamo compiendo un passo fondamentale verso la fine della guerra a Gaza e verso la creazione delle condizioni per un progresso significativo della pace in Medio Oriente” ha detto Netanyahu.
Gli Stati Uniti si impegnano a facilitare un dialogo diretto tra le parti per una coesistenza pacifica e prospera, includendo anche dialoghi interreligiosi per promuovere la tolleranza. Il tutto, mentre Netanyahu chiudeva il suo intervento con un ringraziamento a Trump, definendolo “il più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca”.