Israele-Palestina, la “Dichiarazione di New York”: l’ultimo tentativo per la pace?
Palazzo di vetro, sede Onu
Tra i corridoi di vetro del Palazzo di Vetro a New York, si ha la strana sensazione di un déjà-vu. Quante volte in questi ultimi trent’anni abbiamo sentito annunciare “piani per la pace”, “roadmap”, “soluzioni definitive”? Eppure, oggi come oggi, con la polvere degli edifici di Gaza ancora sospesa nell’aria e il lutto fresco in tante famiglie israeliane e palestinesi, c’è qualcosa di diverso in questa Dichiarazione congiunta franco-saudita.
Forse è la disperazione. O forse la consapevolezza che, dopo il 7 ottobre e la spaventosa reazione israeliana, il conflitto ha raggiunto un punto di non ritorno. Quando vedi i leader arabi e occidentali sedersi allo stesso tavolo, con quella strana luce negli occhi – non più la solita retorica vuota, ma qualcosa che somiglia alla determinazione – capisci che questa volta potrebbe davvero essere l’ultima chiamata.
Cosa dice davvero il documento?
Leggere i 42 articoli della Dichiarazione è come fare un viaggio attraverso tutte le ferite aperte di questo conflitto. Non è il solito documento diplomatico pieno di giri di parole. Qui si chiamano le cose con il loro nome:
Questa chiarezza è nuova. E forse necessaria. Ma la vera rivoluzione sta nelle proposte concrete:
- Hamas deve andarsene da Gaza. Non più mezze misure: o consegnano le armi all’ANP o restano fuori da qualsiasi soluzione.
- Israele deve dire chiaramente se crede nei due Stati. Basta con i giochi di parole, i governi israeliani devono scegliere da che parte stare.
- Gaza e Cisgiordania devono essere unite. Finita l’idea che Gaza possa essere un’enclave separata.
Chi governerà Gaza domani?
Qui il documento diventa coraggioso. Propone una soluzione che nessuno ha mai avuto il coraggio di implementare:
- Una missione internazionale armata che faccia da ponte tra la guerra di oggi e la pace di domani.
- Non solo caschi blu, ma soldati veri, con mandato forte, probabilmente arabi ed europei insieme.
- Un passaggio di poteri graduale all’ANP, che però deve cambiare pelle, diventare più credibile.
Le reazioni: tra speranza e cinismo
A Ramallah, la gente è scettica. “L’ANP? Quelli che non riescono a governare neanche la Cisgiordania?” mi dice un venditore di caffè nella Piazza del Leone.
A Tel Aviv, i commenti sono ancora più duri: “Missione internazionale? Come in Libano nel 2006? Guardate com’è finita!”. Eppure… c’è una stanchezza nuova. Dopo nove mesi di guerra, tutti – israeliani e palestinesi – sanno che non può continuare così.
La vera posta in gioco: Il futuro del Medio Oriente
Quello che molti non capiscono è che questa Dichiarazione non parla solo di Israele e Palestina. Parla del futuro dell’intera regione:
- L’Arabia Saudita vuole la normalizzazione con Israele, ma non può farlo senza una soluzione per i palestinesi.
- L’Europa ha paura di nuove ondate migratorie se Gaza continua a bruciare.
- Gli Stati Uniti sono divisi tra l’appoggio a Israele e la paura di perdere tutto il mondo arabo.
