Jimmy Lai condannato, ergastolo possibile: Pechino stringe sul dissenso a Hong Kong
Jimmy Lai
Hong Kong non è più la stessa. La condanna di Jimmy Lai, storico fondatore dell’Apple Daily e volto simbolo delle proteste pro-democrazia, segna un punto di svolta nella stretta imposta da Pechino. A 78 anni, l’ex magnate dei media è stato riconosciuto colpevole di collusione con forze straniere e di pubblicazione di materiale sedizioso. Un processo celebrato senza giuria, sotto l’egida di tre giudici nominati dal capo dell’esecutivo, ha trasformato la sua vicenda personale in un caso politico di portata internazionale. La sentenza apre ora la strada a una pena che potrebbe arrivare fino all’ergastolo.
Un processo senza giuria e con accuse pesanti
Il verdetto è stato pronunciato al termine di un procedimento durato mesi, condotto da un collegio di tre giudici scelti direttamente dall’esecutivo locale. La corte ha ritenuto Lai responsabile di aver usato denaro e influenza per sollecitare governi stranieri, in particolare gli Stati Uniti, a intervenire contro Pechino. La giudice Esther Toh ha parlato di “odio e risentimento” verso la Cina, descrivendo l’imputato come “compiaciuto” all’idea di sanzioni americane dopo la repressione delle proteste del 2019.
La sentenza, racchiusa in un documento di 855 pagine, è stata letta in aula per circa 40 minuti. I giudici hanno paragonato le condotte di Lai a quelle di un cittadino americano che collabori con la Russia per rovesciare il proprio governo. Un’accusa pesante, che colloca il caso in una cornice di sicurezza nazionale di portata internazionale.
Il clima cambiato nelle strade di Hong Kong
All’esterno del tribunale, solo un piccolo gruppo di sostenitori ha atteso l’esito. Silenziosi, molti hanno evitato di parlare con i giornalisti e hanno coperto il volto, segno evidente del clima mutato in città. Lai, già detenuto per una precedente condanna a cinque anni per frode legata a un contratto di locazione, rischia ora l’ergastolo. La corte ha fissato quattro giorni di udienza preliminare sulla pena a partire dal 12 gennaio, con la decisione definitiva attesa “il prima possibile”.
Al termine della lettura del verdetto, l’imputato ha salutato la moglie Teresa, il figlio Lai Shun Yan e il cardinale Joseph Zen, ex vescovo cattolico di Hong Kong e figura storica del fronte democratico. Un gesto breve, ma carico di significato.
Famiglia e Ong denunciano condizioni di salute
Le autorità sostengono che Lai riceva cure mediche “adeguate e complete” e che l’isolamento sia stato disposto su sua richiesta. La famiglia, al contrario, denuncia un peggioramento delle condizioni di salute. Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani hanno condannato la decisione, definendo la sentenza un esempio di come le leggi sulla sicurezza nazionale vengano usate per “mettere a tacere” la popolazione.
Il caso ha riacceso l’attenzione internazionale sullo stato delle libertà civili a Hong Kong, dove il margine di dissenso si è progressivamente ridotto negli ultimi anni.
Le leggi sulla sicurezza e la stretta finale
La vicenda si inserisce in un contesto di crescente restrizione. Due leggi sulla sicurezza nazionale hanno cambiato il volto della città: quella imposta da Pechino nel 2020 e una seconda approvata dal governo locale nel 2024. Quest’ultima ha ampliato i reati di tradimento, secessione, sovversione e sedizione, rendendo più difficile ogni forma di opposizione.
La condanna di Jimmy Lai diventa così il simbolo di una nuova fase. Non solo la fine di un percorso personale, ma il segnale di un sistema che non tollera più voci indipendenti. Hong Kong, un tempo laboratorio di libertà, appare oggi sempre più allineata alla linea dura di Pechino.
