Carmen vittima di un Femminicidio, non eroina romantica

Carmen vittima di un Femminicidio, non eroina romantica
29 novembre 2016

Non è una Carmen che sfida Don Josè a ucciderla. Non è una Carmen che si getta sul pugnale pur di oltrepassare Don Josè che l’ostacola e le impedisce di vivere la sua vita e il suo nuovo amore. Non è una Carmen che preferisce la morte pur di affermare il suo spirito ribelle, unico, non omologato, libero. E’ una donna che viene uccisa, sgozzata, perché non ricambia l’amore dell’uomo. Non è la Carmen romantica, passionale descritta da Merimee e da Bizet. Quella di Calixto BIeito è una donna dei sobborghi di un qualsiasi paese latino, non solo della Spagna, vittima del degrado, dell’ignoranza, del maschilismo, di una società capace di vedere una donna solo come una prostituta, di sfruttarla per questo, comprarla, venderla, dove alcun riscatto alcuno spirito di ribellione viene soffocato nella violenza e con la violenza. E’ una donna vittima di “femminicidio”. E un mondo violento quello descritto da Calixto Bieito – nella ripresa per il Massimo di Palermo dopo sei anni dalla sua “prima” – sin dall’apertura del sipario dove un plotone di soldati assiste compiaciuto alla “punizione” del commilitone che nudo compie i giri di campo con il fucile in braccio; dove Micaela sfugge a stento ad uno stupro di gruppo, da quegli stessi soldati.

Il fascino e la seduzione delle sigaraie e della stessa Carmen che “sfrontate” fumano in faccia il fumo delle sigarette diventano gesti di provocazione fini a se stessi ed alla compravendita di corpi. La musica di Bizet sembra risuonare quasi anacronistica su quelle scene esaltanti più la volgarità che la sensualità: l’habanera di Carmen, cantata quasi come sputata, invece che evocare i doppi sensi che esprime, li rende anzi espliciti vanificando il gioco sensuale delle parole del testo “l’amour es un oiseu rebele”. Carmen non la canta a Don Josè, che neanche è in scena, ma canta a tutti e per tutti, offrendo e offrendosi. La Carmen di Bieito fa dunque i conti con la grossolanità e la volgarità di un mondo quasi alla deriva, dove gli istinti primordiali superano i desideri di riscatto e di libertà: i personaggi che popolano la scena non sono briganti e furbi zingari dediti al furto perché quello è l’unico modo di gabbare i potenti, ma sono “magnacci”, trafficanti, che tra una Mercedes e una BMW scassata contrabbandano sigarette, computer, televisioni, e radio. Sono personaggi ai margini di una società essa stessa ai margini, al confine, dove la crudeltà e la crudezza sono gli unici elementi di sopravvivenza. E Bieito fa tutto per mettere in evidenza questa crudeltà e questa crudezza. Ogni scena ce le rimanda: dalla “punizione” del soldato nel primo atto, alla minaccia dei colpi di cintura da parte di Zuniga dopo l’arresto, Frasquita che “offre” la stessa figlia ad Escamillo, sino alla scena finale, con Carmen che viene sgozzata. La povertà delle scene, di Alfons Flores – se non per ruderi, una cabina telefonica e le carcasse di macchine – e gli stessi costumi, di Mercè Paloma, che nella loro vivacità di colori mettono in evidenza più che la solarità latina l’impossibilità di indossare un abito che non sia fatto di pezze, toppe, merletti consunti, e capi spaiati, fanno sì che il fascino zingaresco lasci il posto ad una informe e ludibrica massa.

La stessa che si accalca lungo una corda posta a frenare e fermare l’entusiasmo della folla che al passaggio della Quadriglia di Escamillo si getterebbe su di essa. E’ questa sicuramente la scena, coupe de theatre, che si ricorda maggiormente della regia di Bieito, più delle forzature stilistiche e interpretative: la scena che ci dice cosa realmente sia fare teatro e come una sola corda tesa lungo il proscenio, con il coro ammassato, quasi in bilico sull’orlo della buca, possa raccontare più di un ballerino nudo, una levata di slip, una mano che passa su zone inequivocabilmente erogene, una frusta che si trasforma in simbolo fallico e il “Vaffa…” mimato che Micaela lancia all’indirizzo di Carmen dopo avere ottenuto, si fa per dire, che Don Josè vada con lei. Ma la tanto discussa regia di Bieito, fischiata, e osannata, non sarebbe quella che è se non avesse a coadiuvarla cantanti e attori di calibro. Su tutti la Carmen, nella recita di domenica 27, di Justina Gringyte, dalla vocalità pastosa, a volte un po’ calante nel registro basso, ma espressivamente convincente in ogni momento della performance, abbastanza a suo agio anche nei momenti più impervi dal punto di vista interpretativo. Di contro a lei, in tutti sensi il Don Josè un po’ impacciato di Roberto De Biasio. Tenore generoso, dallo squillo sicuro, meno a suo agio nelle sfumature interpretative del registro di centro.

Attento alle dinamiche della partitura non riesce se non con il falsetto a risolvere certi passaggi, come nel finale della celebre “Le fleur..”. L’Escamillo del giovane Zoltan Nagy è lontano mille miglia, vocalmente e scenicamente, dal ruolo tratteggiato da Bizet: diverse le incertezze vocali dimostrate da una certa difficoltà nell’emissione e stabilità delle note, come anche nel fraseggio. Stesse incertezze per la Micaela di Shelley Jackson, che nella sua aria della montagna dimostra molte meno sicurezze del suo ruolo. Ma entrambi possiedono un timbro interessante che può sicuramente continuare a crescere. Buono il quartetto – Frasquita, Mercedes, Dancaire e Remendado -formato da Marina Bucciarelli, Annunziata Vestri, Nicolò Ceriani e Cristiano Olivieri. Completavano Vittorio Albamonte, Mariano Buccino come Morales e Zuniga. La direzione di Alejo Perez dell’Orchestra del Massimo si inscrive tra quelle tradizionali e al tempo stesso prive di quei particolari accenti e colori di cui la partitura di Bizet è pervasa. Un uniformarsi forse il suo a quel mondo di degrado disegnato sulla scena da Bieito. Vivida di contro nella sua vocalità la compagine corale del Massimo, diretta da Piero Monti – che proprio nella scena dell’entrata della Quadriglia dell’ultimo atto esprime il suo momento più alto. I prossimi appuntamenti con Carmen al Massimo di Palermo sono oggi 30 novembre poi l’ 1, 2, 3 e 4 dicembre con i due cast ad alternarsi. Questa sera di scena il primo cast con Vardhuhi Abrahamaya, Arturo Chacòn-Cruz, Marko Mimica e Maria Katzavara. (foto Varduhi Abrahamyan/Carmen e Roberto De Biasio/Don José © rosellina garbo)

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