La danza di Van Hoecke sulla scia della Mudra

La danza di Van Hoecke sulla scia della Mudra
12 agosto 2015

di Laura Donato

Figlio di un pittore e di una cantante, con una zia ballerina, Micha Van Hoecke, 71 anni, belga, non poteva che seguire il cammino verso l’arte che il destino aveva tracciato per lui. Oggi uno dei maggiori coreografi e registi ha mosso i suoi primi passi nel mondo della danza e dello spettacolo in due grandissime compagnie e sotto due altrettanti grandi maestri dell’arte coreica Roland Petit e Maurice Bejart. Quest’ultimo alla fine degli anni Settanta gli affida inoltre la direzione artistica della scuola compagnia Mudra a Bruxelles. Da allora Micha Van Hoecke si è andato dividendo tra l’attività di coreografo, direttore artistico e regista, formando, dopo l’esperienza Mudra una sua compagnia che ricalcava la caratteristica dell’internazionalità che aveva contraddistinto l’esperienza Bejartiana. Il Teatro Vittorio Emanuele di Messina è una delle sue ultime collaborazioni, dalla quale ha preso vita un laboratorio di danza che ha a sua volta portato alla creazione di una compagnia di giovani interpreti e di un balletto, ‘Comme un souvenir’ andato in scena lo scorso giugno a Messina e che domani e il 14 agosto verrà ripreso all’Arena di Portorosa a Furnari, in provincia di Messina.

Maestro, nell’ultimo ventennio ha stabilito una sorta di interazione artistica con l’Italia…

“Ho sempre lavorato bene in Italia ed ho pensato che qui avrei potuto stabilire la sede della mia compagnia. Ecco perché la scelta di Castiglioncello, in Toscana, dove, tra l’altro, ho creato un centro di avviamento, studio ed evoluzione della danza moderna”.

Nel corso della sua carriera ha avviato diverse collaborazioni con vari teatri, ultimo l’Opera di Roma per cui ha diretto il corpo di ballo.

“Si con L’Opera di Roma sono rimasto per quattro stagioni, dal 2010 al 2014, firmando alcune produzioni. Ma ho continuato a lavorare anche con i miei ballerini”.

“Come è nata, invece, la sua collaborazione con il Teatro Vittorio Emanuele di Messina?

“Conoscevo già il sovrintendente Saja (Antonino Saja, sovrintendente dell’Ear Teatro Vittorio Emanuele, ndr) dai tempi di Castiglioncello. Siamo rimasti in contatto in questi anni. Così, quando ha avuto l’incarico, e conoscendo l’esperienza fatta lì mi ha chiesto di creare un laboratorio per giovani danzatori, in modo da creare un corpo di ballo. Questo laboratorio ha prodotto un gruppo pieno di talento, giovani con tanta voglia di apprendere, migliorarsi e di danzare. Inizialmente si era pensato di terminarlo con uno spettacolo che riassumesse quanto fatto. Poi lo stesso sovrintendente mi ha chiesto di creare ‘Comme un souvenir’. Ed eccoci qui”.

Lei firmerà anche altre produzioni della prossima Stagione del teatro Vittorio Emanuele…

“Sì, abbiamo avviato questa collaborazione. Vediamo dove porterà”

Questa esperienza messinese è diversa dalle altre, specialmente da Castiglioncello?

“Sì. È la prima volta che creo una compagnia attraverso un laboratorio. A Castiglioncello avevo portato la mia, non si trattava di una esperienza ex novo. Inoltre, era una compagnia nata sotto l’influsso di Mudra ed erano tutti ballerini provenienti da tutte le parti del mondo. Qui invece sono partito lavorando sulle realtà locali, come detto, giovani volenterosi, pieni di talento. Tuttavia, anche qui ho cercato di portare lo spirito di Mudra: una scuola dove non si fa solo danza, ma anche teatro, canto. E ‘Comme un souvenir’ è nato proprio da qui, dall’ascolto di alcune canzoni francesi che stavamo interpretando durante i lavori del laboratorio. Da qui l’idea di un omaggio a Parigi”.

Perché proprio Parigi, per un legame suo personale anche con questa città?

“Mah, forse, sì… Più che altro è nato, come dicevo, per caso. Lavoravamo su delle canzoni francesi, quelle che maggiormente incarnano lo spirito parigino. Ed è questo spirito che si sente, percepisce, sempre. Inoltre Parigi ha rappresentato il centro della danza, ma non solo, di tutte le arti figurative, specialmente nella prima metà del ‘900. Parigi ha raggruppato in quegli anni i maggiori artisti, della danza, della pittura, della canzone, del teatro. E nello spettacolo è come se una sorta di fil rouge che tiene unito tutto questo”.

Come coreografo, regista, come lavora con i suoi ballerini, interpreti?

“Tutto dipende. ‘Comme un souvenir’, per esempio, è stato una sorta di work in progress, perché al lavoro con i partecipanti al laboratorio si è aggiunto quello con alcuni elementi esterni, miei collaboratori e ballerini. Un danzatore che mi conosce, sa cosa voglio, cosa cerco di realizzare, può essere molto collaborativo, suggerendo lui stesso passi o movimenti. Diversa, invece, la situazione con un ballerino che necessita di essere guidato. Allora lì devi spiegare, mostrare ciò che vuoi esprimere, dire. C’è comunque sempre una storia da raccontare. Il gesto, i passi, l’intera coreografia, devono mirare assolutamente a questo”.

I suoi spettacoli sono sempre un misto di danza, teatro, nel panorama della coreografia contemporanea mondiale lei resta forse l’ultimo Story Teller, narratore di storie.

“È quello che ho sempre fatto. Prima con Petit, poi con Bejart, poi con la mia compagnia. E continuerò a farlo”.

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