La “Madama Butterfly” di Berloffa, bene la prima al Teatro Massimo di Palermo. Magistrale Hui He

La “Madama Butterfly” di Berloffa, bene la prima al Teatro Massimo di Palermo. Magistrale Hui He
17 settembre 2016

di Laura Donato

butterfly01soprano-hui-heSuzuki che chiude lo Shohi dietro la Sposa americana di Pinkerton segna la fine del sogno americano di Cio Cio San, che a sua volta giace a terra, suicida, vittima della tradizione del suo paese e di quella che avrebbe voluto far sua sposando il “Luogotenente della Marina Militare degli Stati Uniti d’America F.B. Pinkerton”, così come cita pedantemente il libretto di Illica e Giacosa mettendo in evidenza la diversità dei due mondi – orientale e occidentale – descritti dalla Butterfly di Giacomo Puccini. Una diversità, due mondi all’opposto, che Nicola Berloffa, regista di questa Butterfly andata in scena ieri sera al Teatro Massimo di Palermo, come apertura della coda autunnale della Stagione 2016, ha voluto ben mettere in evidenza sin dalla struttura scenica: un vecchio teatro con due corti laterali, trasformato in cinema, luogo di piacere, casa dei novelli sposi Pinkerton e Butterfly, comprata per “Novenilanovecentonovantanove anni, salvo rompere il contratto ogni mese”, se ci si è stancati del matrimonio e dell’abitazione. Desiderio che alberga prepotente in F. B. Pinkerton che decide di sposarsi “all’uso giapponese”, solo per trascorrere più allegramente il periodo di stanza a Nagasaki, per poi tornare negli “Stati Uniti d’America” per sposare “una vera donna americana”, come se la donna giapponese che lui sta per sposare non è altro che un giocattolo, una finzione. E proprio su questa idea Berloffa ben tratteggia nella Butterfly palermitana lo status bamboleggiante e quasi teatrale di Cio Cio San, già facendola apparire, nella sua parata nuziale, sul palcoscenico, adornata di finte quinte rappresentanti fiori di ciliegio.

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berloffaE tutta la parata viene infatti seguita da Pinkerton, con sorrisi ammiccanti ai propri marinai pronti anche loro a servirsi delle geishe amiche di Cio Cio San, e a nulla valgono gli ammonimenti del Console Sharpless, “Badate, ella ci crede” a distogliere Pinkerton dal suo fine ludico e ludibrico, che sfocia nel più appassionato e sensuale duetto d’amore del mondo operistico: “Viene la sera… Bimba dagli occhi pieni di malia, ormai sei tutta mia…”. Momento in cui il carattere di assoluta diversità tra i due mondi si consuma tra le ritrosie e desideri di una Butterfly ammantata di bianco come “la candida luna” ed un Pinkerton in pigiama grigio, esempio della più cruda borghesizzazione dell’atto d’amore. C’è da dire che la scelta stilistica operata qui da Berloffa (foto) lascia un po’ perplessi pur nel volere estremizzare forse la natura occidentale e borghese, assolutamente priva di fantasia, del protagonista. La casa/gabbia/prigione/bordello – ben ideata da Fabio Cherstich – racconta le vicende della 15enne Cio Cio San, geisha non per scelta, ma per necessità della famiglia “un tempo assai prospera” ma caduta in disgrazia dopo il suicidio del padre ordinato dal Mikado, trasformandosi impercettibilmente nei due atti, con piccole aggiunte di suppellettili e assumendo un tono sempre più dimesso, grazie alle luci, ideate da Marco Giusti, che ne evidenziano il cupo umore della protagonista, verso la fine. Unico momento apparentemente di svago, ma forse ancora più enfatizzante il distacco culturale tra i due mondi, la proiezione, durante la notte d’attesa per l’arrivo di Pinkerton dopo tre anni di assenza, di spezzoni tratti dai film di Esther Williams, sulle note del celebre coro a bocca chiusa. Il coro, che notoriamente segue con le mute note l’evolversi misterioso ed evocativo dell’animo di Butterfly insieme allo scorrere del tempo, visto dalla stessa con ansia e speranza, sino all’alba della verità, sembra, su quelle immagini, assumere un che di estraniante quasi di lontananza e di estraneità, come le volute apparentemente inconsistenti della Williams nell’acqua, perdendo però così la sua connotazione evocativa, con il senso della vista che prevale su quello dell’udito.

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jader-bignaminiMa l’idea registica e scenica non avrebbe avuto la sua piena realizzazione senza un cast che a sua volta richiamasse in ogni momento quegli elementi. A cominciare dal soprano Hui He, perfetta nell’incarnare le titubanze, le ritrosie, la timidezza e i desideri della piccola Cio Cio San. Un canto il suo che si dipana toccando le diverse corde del personaggio sino al drammatico “Tu, tu, Piccolo iddio…”, le ultime parole di Butterfly al figlio prima di compiere Hara Kiri, che esplode in tutta la sua intensità emotiva. Di contro la baldanza e la giocosità del giovane tenore americano Brian Jadge, che incarna perfettamente il ruolo di Pinkerton, sfoggiando una vocalità di tutto rispetto, fresca, potente – da curare maggiormente nel fraseggio – ma di sicuro impatto. Giovanni Meoni tratteggia un Console dalla nobile figura e intenti. Baritono dalla voce maestosa e chiara delinea bene il contrappuntistico ruolo di Sharpless, quasi coscienza del giovane incauto Pinkerton. All’equilibrio di Meoni/Sharpless si affianca la Suzuki della mezzosoprano Anna Malavasi. Bene anche il Goro di Mario Bolognesi, Il principe Yamadori di Vittorio Albamonte, Lo zio Bonzo di Manrico Signorini. Coro ed Orchestra del Massimo guidati da Jader Bignamini (foto). Una conduzione la sua che ha lasciato poco spazio ad una lettura approfondita della partitura pucciniana, ma che ha comunque esaltato – a volte troppo – i momenti più salienti di questa. Una cura maggiore delle nouances sonore e delle sfumature melodiche sarebbe stata preferibile. Ma confidiamo nelle recite successive – da stasera sino al 25 – per questo. (foto home, Hui He-Brian Jadge)

 

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