Carlo Nordio e Giorgia Meloni
Il Senato ha approvato in via definitiva la riforma costituzionale sulla giustizia, che sancisce la separazione delle carriere dei magistrati, la nascita di due Consigli Superiori della Magistratura (CSM) e l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare. Il voto, avvenuto con 112 favorevoli, 59 contrari e 9 astenuti, rappresenta la quarta e ultima lettura conforme e apre ora la strada al referendum confermativo, non essendo stata raggiunta la maggioranza qualificata dei due terzi. Il testo, che non ha subito modifiche parlamentari rispetto alla proposta originaria del Governo Meloni e del Ministro della Giustizia Carlo Nordio, ha scatenato le proteste dell’opposizione in Aula.
L’approvazione non è stata priva di tensioni. Subito dopo il voto, i senatori di Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra hanno alzato cartelli rossi con la scritta “No a pieni poteri”, un gesto definito “eccessivo e contrario al regolamento” dal Presidente del Senato, Ignazio La Russa. Il percorso della riforma non si conclude in Parlamento. Sia la maggioranza che l’opposizione hanno già annunciato di voler promuovere il referendum confermativo, per il quale saranno necessarie le firme di un quinto dei parlamentari o di 500.000 elettori.
La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha celebrato il risultato su X, definendolo “un traguardo storico e un impegno concreto mantenuto”. “Oggi compiamo un passo importante verso un sistema più efficiente, equilibrato e vicino ai cittadini”, ha scritto, aggiungendo che “Governo e Parlamento hanno fatto la loro parte” e che ora “la parola passerà ai cittadini”. Una posizione condivisa dal Ministro Nordio, che ha parlato di “inizio della fine”, auspicando un dibattito “pacifico e razionale” in vista del voto popolare e respingendo le accuse di una riforma “punitiva” contro la magistratura.
Le critiche dell’opposizione sono feroci. La segretaria del PD, Elly Schlein, ha bollato la riforma come un’operazione che “non tocca nessuno dei nodi cruciali” del sistema giustizia, ma che ha il chiaro obiettivo di “indebolire l’indipendenza della magistratura”. Accuse ribadite da Giuseppe Conte (M5S), che ha parlato di un “disegno sistematico di scardinamento della Costituzione” e di “pieni poteri” rivendicati dal Governo. Anche per Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni (AvS) l’unico scopo è “minare l’autonomia della magistratura per sottoporla al controllo politico”.
Preoccupazioni profonde arrivano anche dall’Associazione Nazionale Magistrati (ANM). In una nota, la Giunta Esecutiva centrale ha avvertito che la riforma “altera l’assetto dei poteri disegnato dai costituenti” e “mette in pericolo il principio di uguaglianza”. L’ANM contesta anche i costi dello “sdoppiamento” del CSM e dell’istituzione dell’Alta Corte disciplinare, sostenendo che la riforma non affronta i veri problemi: la lentezza dei processi e la carenza cronica di organici. Il Ministro Nordio, replicando, si è detto “assolutamente pronto a un confronto in tv con l’ANM”.
Mentre infuria lo scontro politico, la macchina per il referendum è già in moto. I capigruppo della maggioranza al Senato e alla Camera hanno formalmente avviato le procedure per la raccolta delle firme necessarie tra i parlamentari. Contemporaneamente, nasce il primo comitato per il ‘Sì’, promosso da Noi Moderati, il cui obiettivo, come dichiarato da Maurizio Lupi e Gaetano Scalise, è “garantire giudici imparziali, processi equi e una giustizia più moderna”. Il paese si appresta a una lunga e accesa campagna referendaria che deciderà il futuro di una delle riforme più controverse degli ultimi anni.
La riforma costituzionale della giustizia – “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare” – che ha come obiettivo di separare le carriere dei magistrati requirenti e giudicanti, attraverso la modifica del Titolo IV della Costituzione, ha ottenuto il quarto e ultimo via libera parlamentare dal Senato con 112 voti a favore, 59 contrari e 9 astenuti.
Rispetto al testo presentato in origine dal Governo, che reca la firma della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il Parlamento non ha apportato alcuna modifica, nemmeno in occasione della prima lettura.
Il provvedimento prevede due distinti organi di autogoverno: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente. La presidenza di entrambi gli organi è attribuita al Presidente della Repubblica, mentre sono membri di diritto, rispettivamente, il primo Presidente della Corte di Cassazione e il Procuratore generale della Corte di Cassazione.
Gli altri componenti di ciascuno dei Consigli superiori sono estratti a sorte: un terzo da un elenco di professori e avvocati compilato dal Parlamento in seduta comune e i restanti due terzi rispettivamente tra magistrati giudicanti e requirenti. I vicepresidenti di ciascun organo sono eletti fra i componenti sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento.
Un’altra novità è rappresentata dall’istituzione dell’Alta Corte disciplinare composta da 15 giudici: 3 nominati dal presidente della Repubblica; 3 estratti a sorte dal Parlamento in seduta comune; 6 estratti tra magistrati giudicanti e 3 tra i requirenti, tutti con specifici requisiti.