La rissa Dem finisce a colpi di querele

di Daniele Di Mario

Se Vincenzo De Luca è davvero “impresentabile” lo stabilirà un giudice. Il neogovernatore della Campania, inserito dalla commissione Antimafia nella lista dei sedici “impresentabili” candidati alle regionali, ha infatti annunciato su Twitter di aver “presentato in Questura la denuncia” contro la presidente della commissione e collega di partito Rosy Bindi “per diffamazione, attentato ai diritti politici costituzionali e abuso d’ufficio”. Nel Pd scoppia così l’ennesimo tsunami. Anche perché la Bindi non arretra d’un centimetro e, anzi, tira le orecchie al Nazareno per non averla difesa. È la Bindi a sentirsi a sua volta diffamata e a chiedere un risarcimento. “Ritengo – spiega la presidente – di avere diritto a un risarcimento, perché sono molti anni che servo questo Paese, e le mie battaglie le ho sempre fatte a viso aperto. Chiedo le scuse da parte del mio partito: non si può arrivare a diffamare così una persona che sta svolgendo il proprio ruolo istituzionale”.

La Bindi ribadisce che “il Pd ha sbagliato a reagire in quel modo”: avrebbe dovuto “difendere De Luca”, ma “non delegittimare il lavoro della commissione Antimafia”. “Obiettivo del mio lavoro – osserva – non è stato né quello di favorire né di danneggiare il Pd o altre formazioni politiche. Non c’è stata nessuna valutazione discrezionale di tipo politico, abbiamo inserito tutte le persone che, secondo il codice etico approvato all’unanimità da tutti i partiti, dovevano esserci”. “Avrei preferito che la lista arrivasse prima ma – aggiunge la Bindi – meno male che è arrivata l’ultimo giorno o ci sarebbe stata campagna elettorale solo sulla lista dell’Antimafia. Questo risultato deve far riflettere Renzi perché in un anno si è passati dal 40% delle europee al 25% di Bersani”.
La Bindi, insomma, non risparmia una stoccata al premier-segretario. E alla querela di De Luca risponde: “È una denuncia priva di ogni fondamento, un atto puramente strumentale, che ha scopi diversi da quelli che persegue la giustizia e che pertanto non mi crea alcuna preoccupazione”. Ma alla denuncia di De Luca si aggiungono anche quelle di Sandra Lonardo Mastella e di Luciano Passiariello (FdI), anche loro insieriti nella lista dell’Antimafia.

In tanti la pensano come la presidente della commissione. La posizione di Giacomo Portas, leader dei Moderati, è per esempio chiara: “Il partito ci metta una pezza e se ne necessario intervenga anche Renzi. Gli avversari sono da un’altra parte. Che cosa ci capiscono gli elettori? Nulla, e per reazione non vanno a votare. La politica torni ad occuparsi di ciò che interessa ai cittadini”. Per il capogruppo di Sel Arturo Scotto “denunciare la Bindi è incomprensibile. La presidente si è limitata ad applicare il codice antimafia votato dai partiti. De Luca se la prenda col Pd”. Anche il vicepresidente della commissione Antimafia Claudio Fava si schiera con la Bindi: “La denuncia di De Luca, oltre che un atto di grossolana volgarità, è una di quelle querele temerarie che il Parlamento si appresta a sanzionare come atti palesemente ritorsivi e intimidatori. De Luca sa che il suo problema non è il lavoro scrupoloso della commissione Antimafia ma la legge Severino. La sua querela è un modo ridicolo per provare a distrarre l’opinione pubblica dall’unico fatto incontrovertibile: De Luca non è nelle condizioni giuridiche per governare la Campania”.

E a proposito della legge Severino, De Luca ora è alle prese col rebus giunta. La casella più delicata è quella del vicepresidente. De Luca si è dato venti giorni di tempo per varare l’esecutivo. La questione del vice del resto è essenziale. Sul neogovernatore pende la sospensione legata alla legge Severino. In trenta giorni deve fissare la prima seduta del Consiglio regionale e nominare la giunta. Il vice resterà in carica e attenderà l’esito del ricorso al giudice ordinario contro la sospensione che verrà decretata dal governo. In questo caso potrebbero servire alcune settimane, mentre a ottobre è prevista la pronuncia della Corte costituzionale su alcuni articoli della Severino, così come richiesto dalla Corte d’appello di Bari in relazione al caso di un consigliere regionale.

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