Una immagine di come sarà il Ponte sullo Stretto
Di fronte all’annuncio della convocazione del Cipess per l’approvazione definitiva del Ponte sullo Stretto di Messina, la reazione è stata immediata e prevedibile: la solita controffensiva della sinistra radicale e delle associazioni ambientaliste. Ricorsi, presìdi, manifestazioni. Un riflesso automatico che ormai pare più ideologico che critico.
Da Greenpeace a Legambiente, da Lipu al Wwf, passando per il Comitato No Ponte e “Invece del Ponte”, l’approccio è sempre lo stesso: denunciare, bloccare, appellarsi all’Europa. Poco importa che il progetto abbia subito modifiche, osservazioni, e una revisione tecnica pluridecennale. La narrazione dominante resta immutata: il Ponte è il nemico.
Eppure, è proprio questa ostinazione al rifiuto che rischia di trasformare l’ambientalismo da forza propulsiva in freno culturale. Non si nega che il Ponte abbia impatti ambientali, ma la demonizzazione sistematica di ogni infrastruttura rilevante nel Sud lascia spazio a un dubbio: non sarà che dietro la maschera del “green” si nasconde un conservatorismo travestito?
Il Movimento No Ponte Calabria parla di un modello di sviluppo distruttivo, denunciando “cemento contro acqua”, “cantieri contro servizi”. Lo slogan è efficace, ma semplificare così una questione complessa significa svilirla. Il Ponte rappresenta — nel bene o nel male — un’opportunità di rilancio territoriale, economico e occupazionale. Il Sud ha bisogno di scuole e ospedali, certo. Ma anche di connessioni. Anche di visione.
Intanto, il fronte del “no” annuncia una battaglia legale su scala nazionale ed europea. Il dibattito viene dunque relegato a un ping pong tra tribunali, mentre la discussione pubblica si fa ostaggio di slogan e ricorsi. Quella che dovrebbe essere una dialettica tra posizioni diverse degenera in una guerra di veti.
E allora, una riflessione si impone. Il Ponte sullo Stretto non è solo un progetto ingegneristico, è il simbolo di un’Italia divisa tra chi sogna e chi frena. Tra chi tenta e chi trattiene. La sinistra del “no” ha il dovere di tornare a proporre, non solo a opporsi. Altrimenti, rischia di diventare il ritratto fossilizzato di un ambientalismo che non convince più.