Cronaca

La tragedia di Alessia Pifferi: una madre “disconnessa” condannata all’ergastolo

Alessia Pifferi

La vicenda di Alessia Pifferi, la donna che ha abbandonato la piccola Diana lasciandola morire di stenti, continua a scuotere l’opinione pubblica. La perizia psichiatrica condotta dagli esperti Giacomo Francesco Filippini, Stefano Benzoni e Nadia Bolognini ha stabilito che il disturbo psichiatrico di cui soffre Pifferi non ha compromesso la sua capacità di intendere e di volere al momento dei fatti. La sua scelta di lasciare la figlia sola a casa, secondo gli esperti, è stata una decisione lucida, caratterizzata da una “disconnessione” dal ruolo di madre, ma non da un vizio di mente che possa scagionarla. Questa conclusione, salvo sorprese, porterà alla conferma della condanna all’ergastolo in appello.

Gli psichiatri hanno analizzato a fondo il comportamento di Pifferi, cercando di rispondere ai quesiti posti dai giudici. Il disturbo del neurosviluppo diagnosticato alla donna, pur presente, non è stato ritenuto sufficientemente grave da aver influito sulle sue capacità decisionali durante il periodo in cui ha lasciato Diana sola. La perizia evidenzia come Pifferi, nonostante una fragilità cognitiva e affettiva, abbia dimostrato competenze relazionali e capacità di pianificazione adeguate in altre aree della sua vita, escludendo così un’incapacità totale o parziale di intendere e volere.

La “mente disconnessa” di Alessia Pifferi

La difesa di Pifferi ha puntato sulla sua dichiarazione di una “mente disconnessa” durante i giorni in cui ha lasciato la figlia a Milano per recarsi a Leffe dal compagno. Tuttavia, gli esperti hanno chiarito che questa “disconnessione” non equivale a una mancanza di consapevolezza delle conseguenze del suo gesto. La donna, infatti, non ha manifestato amnesia, fenomeni dissociativi o altri disturbi che possano giustificare un’alterazione significativa della sua capacità di giudizio. La sua scelta di abbandonare Diana, lasciandola con due bottiglie d’acqua e una di tè nel lettino, è stata definita come un atto deliberato, non il risultato di un errore di valutazione.

Secondo i periti, la “disconnessione” descritta da Pifferi si riferisce esclusivamente al suo ruolo di madre, un aspetto che si è manifestato in modo selettivo e prolungato durante la settimana trascorsa a Leffe. Non ci sono prove di traumi, intossicazioni o danni neurologici che possano aver influito sul suo stato mentale. La donna era pienamente consapevole delle potenziali conseguenze dell’abbandono, ma ha scelto di ignorarle, concentrandosi esclusivamente sul suo soggiorno lontano da casa.

Una scelta lucida e le sue conseguenze

La perizia si sofferma sul momento del rientro di Pifferi a Milano, quando la donna ha iniziato a manifestare una “progressiva riconnessione” e una crescente preoccupazione per le condizioni della figlia. Tuttavia, questo cambio di atteggiamento non è stato sufficiente a modificare il giudizio degli esperti, che hanno escluso qualsiasi attenuante legata a un vizio di mente. La “disconnessione” di Pifferi non è stata un episodio isolato o temporaneo, ma un atteggiamento protratto per l’intera durata del suo soggiorno a Leffe, durante il quale Diana è morta per disidratazione.

Gli psichiatri sottolineano che Pifferi aveva le capacità cognitive per comprendere la gravità del suo gesto. La sua abilità di pianificare azioni, risolvere problemi e prevedere le conseguenze in situazioni complesse dimostra che non ci fosse un’incapacità patologica alla base della sua condotta. La tragedia di Diana, quindi, non può essere attribuita a un disturbo mentale che abbia compromesso la responsabilità della madre, ma a una scelta consapevole e tragica.

Un caso che interroga la società

Il caso di Alessia Pifferi solleva interrogativi profondi sulla responsabilità genitoriale e sul funzionamento della mente umana in situazioni estreme. La perizia psichiatrica, pur riconoscendo la presenza di un disturbo del neurosviluppo, non ha individuato elementi che possano giustificare un alleggerimento della pena. La “disconnessione” dal ruolo di madre, come descritta dalla stessa Pifferi, non è stata considerata un fattore sufficiente per scagionarla dalla colpa di aver lasciato morire la figlia.

La conferma dell’ergastolo in appello sembra ormai inevitabile, e il caso continua a generare dibattito sull’equilibrio tra disturbi mentali e responsabilità penale. La vicenda di Diana, una bambina abbandonata e dimenticata, resta una ferita aperta per la società, un monito sulle conseguenze di scelte che, pur motivate da fragilità personali, hanno esiti irreparabili.

La perizia psichiatrica conferma che Alessia Pifferi era pienamente consapevole quando ha abbandonato la figlia Diana, lasciandola morire. La sua “disconnessione” dal ruolo di madre non è un’attenuante: l’ergastolo in appello appare certo.

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Redazione