L’esercito israeliano (IDF) conferma di aver sparato “colpi di avvertimento” nei pressi di un centro di distribuzione nel nord di Gaza per “disperdere una minaccia”. Ma le immagini che arrivano dagli ospedali raccontano un’altra storia: corpi dilaniati, madri che piangono figli, medici al collasso. L’IDF afferma di “indagare”, sostenendo che il numero di vittime riportato “non corrisponde alle informazioni in loro possesso”. Intanto, l’offensiva si allarga: per la prima volta, Israele ha ordinato l’evacuazione di Deir al-Balah, nel centro della Striscia, mentre i carri armati avanzano anche a Jabalya, nel nord.
Papa Leone XIV, all’Angelus, ha rinnovato il suo appello: “Si fermi questa barbarie”. Ma sul campo, la guerra non conosce pause. Fonti vicine ad Hamas parlano di “progressi” nei negoziati per il cessate il fuoco, con i punti di contrasto “significativamente ridotti” grazie alla pressione americana. Eppure, mentre la diplomazia cerca una via d’uscita, i civili continuano a morire.
Quante altre stragi dovranno accadere prima che il mondo agisca? Quante volte ancora si ripeterà lo stesso copione: fuoco sui disperati, smentite, indagini che non portano a nulla? Gaza è ormai un cimitero a cielo aperto, e la comunità internazionale sembra aver smarrito persino la capacità di indignarsi.