L’Europa fantasma, scontro fra due visioni del futuro: eurobond contro Mes

L’Europa fantasma, scontro fra due visioni del futuro: eurobond contro Mes
Emmanuelle Macron, Giuseppe Conte e Angela Merkel
28 marzo 2020

Due concezioni dell’Europa, due visioni del suo futuro, si stanno scontrando drammaticamente in questi giorni fra i governi e le istituzioni dell’Ue, con una polarizzazione crescente fra i due fronti che le sostengono, mentre appare sempre più difficile un compromesso politico capace di riconciliarle. Queste due visioni si esprimono ormai chiaramente nell’appoggio o nell’opposizione a due ipotesi alternative per sostenere finanziariamente nel medio-lungo termine gli Stati membri più colpiti dalla pandemia del Covid-19 e dalle sue conseguenza economiche: da una parte la proposta di istituire gli eurobond (o Corona bond), strumenti di emissione di debito comune europeo; dall’altra il ricorso ai crediti del Mes, il Fondo salva Stati dell’Eurozona. A Bruxelles ci sono parole che non si possono pronunciare, veri e propri tabù che chiudono immediatamente ogni discussione, e creano scandalo come una bestemmia in chiesa. E’ quello che accade in questi giorni quando si prova a fare domande sugli eurobond. Si sa che è una proposta sul tavolo, che è appoggiata da nove Stati membri, fra cui tre dei più grandi, l’Italia, la Spagna e la Francia. Ma i giornalisti che nelle ultime settimane hanno chiesto, nelle conferenze stampa teletrasmesse da Bruxelles, come stia andando la discussione fra i ministri finanziari o i capi di Stato e di governo dell’Ue, continuano a ricevere risposte elusive, che non contengono mai la parola “eurobond”, ma solo generici riferimenti a “le proposte sul tavolo”, senza altri dettagli.

Eppure, se c’è un dibattito centrale in questo momento per il futuro dell’Unione europea e dell’Eurozona, è proprio quello su come dovrà essere finanziato il debito pubblico che sarà generato, inevitabilmente, dall’emergenza sanitaria del Covid 19 e dalle sue conseguenze socio-economiche di medio e lungo termine. “La pandemia di Covid-19 costituisce una sfida senza precedenti per l’Europa e per il mondo intero. Esige un’azione urgente, risoluta e globale sia a livello Ue che a livello nazionale, regionale e locale. Adotteremo tutte le misure necessarie per proteggere i nostri cittadini e superare la crisi, preservando i valori e lo stile di vita europei”, hanno scritto i capi di Stato e di governo dei Ventisette nella loro dichiarazione comune dopo la videoconferenza che li ha riuniti a distanza, giovedì sera, per la terza volta in tre settimane. Ma che cosa significa quell’impegno a prendere “tutte le misure necessarie” per rispondere a “una sfida senza precedenti” per gli olandesi, gli austriaci, i tedeschi, i finlandesi, che sanno dire solo “no” a qualunque proposta che vada al di là dello status quo, che non sia la ripetizione di quanto abbiamo già visto durante la crisi del debito sovrano dell’Eurozona?

Si può rispondere con gli strumenti ordinari, già esistenti, senza cambiare nulla, a uno shock così tragicamente nuovo e imprevedibile, con le file di camion militari che portano centinaia di bare nei crematori, con i dottori e gli infermieri negli ospedali in Lombardia e in Spagna costretti a decidere chi tentare di salvare e chi lasciar morire, per la mancanza di posti in terapia intensiva? Che cosa significa “adotteremo tutte le misure necessarie per proteggere i nostri cittadini e superare la crisi, preservando i valori e lo stile di vita europei”, sapendo che questa crisi provocherà un enorme e rapido aumento del debito pubblico nell’Ue, se non si pensa a un modo solidale di sostenere quell’onere, evitando che ricada solo sui paesi più colpiti dalla pandemia e dalle sue conseguenze economiche, e che divida ancora di più l’Europa? La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha chiesto e ottenuto la sospensione delle prescrizioni del Patto di stabilità, e ha esortato gli Stati membri sotto lo shock del coronavirus a “spendere tutto quello che sarà necessario”. Ma che senso ha quest’invito se poi, fra uno, due o tre anni, il Patto di stabilità tornerà a essere applicato a paesi che avranno un debito pubblico molto più alto di oggi, e che dovranno ricominciare a ridurlo a tappe forzate, con nuove misure di austerità, e pagando per giunta tassi d’interesse molto più alti degli altri?

Leggi anche:
A Radio Anch'io scoppia la polemica: discriminazione religiosa?"

Sono le domande che stanno alla base della proposta dei capi di Stato e di governo di Italia, Francia, Spagna, Belgio, Lussemburgo, Portogallo, Grecia, Slovenia e Irlanda, favorevoli a “uno strumento di debito comune a beneficio di tutti gli Stati membri”, come hanno spiegato nella lettera inviata mercoledì al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Ed è questo il senso del richiamo di ieri del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a quelle “importanti e decisioni finanziarie ed economiche” che sono state prese finora dalla Bce e dalla Commissione europea, con l’appoggio del Parlamento europeo, ma non dal Consiglio dei capi dei governi nazionali, e dell’avvertimento che ha lanciato il capo dello Stato: “Sono indispensabili ulteriori iniziative comuni, superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Continente. Mi auguro che tutti comprendano appieno, prima che sia troppo tardi – ha ammonito Mattarella -, la gravità della minaccia per l’Europa”. Eurobond significa emissione di debito comune, con garanzie comuni e a tassi d’interesse bassi e uguali per tutti. Niente spread, condizioni di partenza identiche, nessun effetto di stigmatizzazione da parte dei mercati per i paesi che finanziano in questo modo il loro nuovo debito.

Ma per i tedeschi, gli olandesi, gli austriaci, i finlandesi, la mutualizzazione del debito è un’eresia, morale prima ancora che economica. E’ inaccettabile, perché incoraggerebbe comportamenti non virtuosi, toglierebbe l’incentivo a realizzare le “riforme strutturali”, assolverebbe i colpevoli e gli indebitati dalla giusta condanna dei mercati, pagata con tassi d’interesse più alti. Secondo quanto ha rivelato oggi il quotidiano spagnolo El Pais, la cancelliera tedesca Angela Merkel, appoggiata dal premier olandese Mark Rutte, durante la discussione fra i leader di giovedì ha opposto un nettissimo “no” agli eurobond, dicendo che il Bundestag non approverebbe mai questa soluzione. Un “no” che aveva già detto nel 2012, anche allora con l’appoggio degli olandesi, nel pieno della crisi dell’Eurozona. “Angela, bisogna che tu capisca in che emergenza stiamo vivendo”, ha detto a un certo punto il premier spagnolo Pedro Sanchez durante il vertice, rivolto alla Merkel, sempre secondo el Pais. “Se vi aspettate i ‘corona bond’, non arriveranno mai”, gli ha risposto la cancelliera, che ha avvertito lui e gli altri leader a “non generare false aspettative”.

Secondo il quotidiano spagnolo, la presidente della Bce, Christine Lagarde ha avvertito i leader che la recessione dovuta al coronavirus causerà “una caduta del Pil che potrà oscillare fra il 2% e il 4%”. E secondo stime di “Eurointelligence”, un bollettino online fondato e diretto da Walter Munchau e molto seguito a Bruxelles (e favorevole agli eurobond), lo sforzo degli Stati membri per contrastare le conseguenze economiche della crisi comporterà un aumento del debito pubblico dell’Eurozona fra il 20% e il 50% nei prossimi anni, almeno pari ma probabilmente molto superiore a quello (20%) che era stato provocato dalla crisi economica e finanziaria 2008-2012. Per Germania, Olanda, Austria e Finlandia, il massimo che si può immaginare per affrontare questa nuova crisi il ricorso a uno strumento già esistente: il Mes (Meccanismo europeo di Stabilità); ovvero il Fondo salva Stati, quello che, in cambio del suo sostegno ai paesi che l’avevano chiesto durante la crisi dell’Eurozona, ha imposto durissime misure di austerità, sotto il controllo della troika. Si pensa a una linea di credito del Mes, adattata alle circostanze e ribattezzata “Pandemic Crisis Support”, che avrebbe due condizioni: nel breve termine, essere dedicata solo alle misure di risposta alle conseguenze della pandemia; e nel medio-lungo termine, essere legata a “un’aspettativa di ritorno alla stabilità”, come ha spiegato martedì scorso il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno, riferendo che su questo punto c’era un “ampio consenso” fra i ministri delle Finanze. “Ritorno alla stabilità” significa risanamento finanziario del paese che ha chiesto i finanziamenti. Cioè, ancora una volta, misure di austerità.

Leggi anche:
Centrodestra conquista anche la Basilicata, Vito Bardi riconfermato

L’impressione chiara, ascoltando Centeno riferire sulle discussioni nell’Eurogruppo, è che la strada del ricorso al Mes sia già tracciata, mentre quella degli eurobond è considerata impraticabile. Durante il vertice Ue di giovedì sera, il premier italiano Giuseppe Conte e lo spagnolo Sanchez si sono ribellati alla bozza di dichiarazione finale che non menzionava neanche la proposta dello “strumento di debito comune” richiesta nella lettera dei Nove, mentre invece si dava indicazione all’Eurogruppo di continuare il lavoro per definire le “specifiche tecniche” della nuova linea di credito del Mes per il “Pandemic Crisis Support”. Conte e Sanchez, facendo infuriare la Merkel (che li ha accusati di creare divisioni fra i Ventisette), hanno ottenuto di eliminare questo riferimento al Mes dalla dichiarazione finale, in modo che le due ipotesi restassero almeno sullo stesso piano, nel mandato affidato all’Eurogruppo di continuare la discussione e “presentare proposte (al plurale, ndr) entro due settimane” al Consiglio europeo. Ciò che è paradossale è che, dopo le divisioni emerse martedì fra i ministri delle Finanze, che si erano affidati al Consiglio europeo attendendosi una mediazione al più alto livello politico per uscire dal guado, ora i leader abbiano rimandato la palla allo stesso Eurogruppo, chiedendogli di continuare a discutere e di avanzare nuove proposte. E questo lo ha sottolineato durante il vertice Ue il presidente francese Emmanuel Macron, che ha appoggiato Sanchez e Conte. “E’ una questione politica, non possiamo lasciarla ai ministri delle Finanze, che riproducono le posizioni di ciascuno di noi”, ha detto Macron secondo la ricostruzione di El Pais.

Per questo, Sanchez ha avanzato l’ipotesi che il lavoro sulle due proposte venga affidato ai presidenti delle cinque istituzioni europee (Commissione, Consiglio europeo, Europarlamento, Bce ed Eurogruppo); ma, sempre a quanto rivela El Pais, Merkel si è opposta temendo che i cinque (anche a causa delle nazionalità coinvolte, sembra di capire) finirebbero col proporre qualche forma di mutualizzazione del debito. Alla fine, da questa “lista dei presidenti” (che potrebbe essere proposta come soluzione di ripiego se l’Eurogruppo non riuscirà a risolvere niente) sono caduti l’italiano David Sassoli e il portoghese Mario Centeno, e sono rimasti solo la francese Christine Lagarde, la tedesca Ursula von der Leyen e il belga Charles Michel. In questo contesto di scontro fra fronti contrapposti, un possibile compromesso potrebbe essere forse l’eliminazione della “condizionalità futura” (l’impegno al ritorno alla stabilità finanziaria) per accedere alla linea di credito del Mes. Una soluzione che, pur non avendo la stessa efficacia dei “Corona bond”, almeno garantirebbe tassi d’interesse uguali per tutti i paesi che volessero accedervi. Ma non sembra che i falchi dell’austerità siano disposti a fare neanche questa concessione.

Leggi anche:
Gli Usa approvano gli aiuti per Ucraina, Israele e Taiwan:

L’impressione è che sia sempre più un dialogo fra sordi, che le divisioni stiano continuando ad approfondirsi, fino a minacciare la tenuta dell’Eurozona, e della stessa Unione europea. E’ un rischio che non è mai stato così grande, neanche durante la crisi greca. Perché non è più solo un negoziato politico: pesano le migliaia di morti in Italia e in Spagna, e quelli che purtroppo si aggiungeranno ancora nei prossimi giorni, anche negli altri paesi. Di fronte al solito veto tedesco-nordico, i paesi pro-eurobond potrebbero arrivare a promuovere iniziative radicali e dirompenti: una “cooperazione rafforzata”, per esempio (un’integrazione più stretta di un gruppo di paesi in un settore di fronte al rifiuto degli altri di parteciparvi) che crei uno strumenti di debito comune solo per i paesi che ci stanno. Fra l’altro, nove Stati membri è giusto il numero minimo per attivare questo meccanismo, previsto dai Trattati Ue. Inoltre, c’è sempre la possibilità di denunciare il Mes, che è basato su un trattato intergovernativo e non è una istituzione dell’Ue. In questo caso, l’Italia, la Spagna, possibilmente la Francia e altri Stati membri potrebbero ritirarsi dal Meccanismo e riprendersi i soldi che hanno conferito al Fondo salva Stati: i nove paesi insieme detengono più del 60% del capitale del Mes; l’Italia, da sola, ha versato oltre 14 miliardi di euro e ha un capitale sottoscritto di 125 miliardi. E proprio il capitale sottratto al Mes potrebbe essere usato come garanzia per l’emissione comune di eurobond. Sarebbe la fine del Fondo salva Stati, e un chiaro atto pubblico d’accusa contro l’europeismo ipocrita della Germania e dei suoi alleati.

“Se non proponiamo ora una risposta unitaria, potente ed efficace a questa crisi economica, non solo il suo impatto sarà più duro, ma i suoi effetti dureranno più a lungo e metteremo a rischio l’intero progetto europeo”, ha detto Pedro Sanchez dopo il vertice Ue. “Non possiamo rifare gli stessi errori della crisi finanziaria del 2008, che ha seminato disaffezione e discordia riguardo all’Europa e ha provocato l’ascesa del populismo. Dobbiamo imparare quella lezione”, ha concluso il premier spagnolo. Oggi è intervenuto, dopo un lungo silenzio anche l’ex presidente della Commissione Jacques Delors, padre del mecato unico e dell’euro avvertendo che la mancanza di solidarietà europea fa correrre “un pericolo mortale” all’Unione. askanews

Segui ilfogliettone.it su facebook
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a redazione@ilfogliettone.it


Commenti