L’Italia non si ritira da base Misurata. Monito Usa: immediato stop a guerriglia

8 aprile 2019

Nessun ritiro italiano dalla base di Misurata, in Libia. Lo precisa lo Stato Maggiore italiano della Difesa in merito alla diffusione di notizie circa un presunto ritiro dei militari italiani dal Paese nordafricano. A Misurata e’ presente una struttura ospedaliera Role 2 italiana, nell’ambito della missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (MIASIT), mentre nelle acque di Tripoli continuano le attivita’ di nave Capri, presente nell’ambito dell’operazione Mare Sicuro. La missione bilaterale (MIASIT), che ha avuto inizio a gennaio 2018, continua con l’obiettivo – fa sapere lo Stato maggiore – di rendere l’azione di assistenza e supporto in Libia maggiormente incisiva ed efficace, sostenendo le autorita’ libiche nell’azione di pacificazione e stabilizzazione del Paese e nel rafforzamento delle attivita’ di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale, dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, in armonia con le linee di intervento definite dalle Nazioni Unite.

In particolare, nell’ambito della MIASIT, a Tripoli e’ dislocato il Comando della missione e un Mobile Training Team per la formazione, l’addestramento e l’assistenza tecnico-infrastrutturale a favore delle forze di sicurezza libiche, mentre a Misurata e’ schierata la task force Ippocrate con una struttura ospedaliera dedicata all’attivita’ di assistenza sanitaria. Nave Capri nell’ambito dell’Operazione “Mare Sicuro” e’ invece chiamata a fornire, su richiesta della controparte, attivita’ di supporto e di sostegno alla Guardia costiera e alla Marina militare libiche tesa a fornire protezione e a svolgere attivita’ per il ripristino dell’efficienza degli assetti e relative infrastrutture funzionali al controllo e al contrasto dell’immigrazione illegale e condotta di attivita’ ricerca e soccorso in mare (SAR).

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Intanto continuano da giorni gli scontri alle porte di Tripoli tra le forze del generale Khalifa Haftar e quelle del Governo di accordo nazionale di Fayez al Sarraj. Ieri il comando americano per l’Africa (Africom) ha riferito dell’evacuazione di alcuni cittadini americani e personale di sicurezza da Tripoli.  La missione italiana in Libia conta un impiego massimo di 400 militari, 130 mezzi terrestri e mezzi navali e aerei. La missione fornisce assistenza e supporto sanitario e formazione e addestramento per le forze di sicurezza e le istituzioni governative libiche. Continua anche l’avanzata del generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, su Tripoli con il suo Esercito nazionale libico (Lna). Haftar ha annunciato su Facebook di aver condotto raid aerei con obiettivi nella periferia di Tripoli.

Per difendersi le milizie di Misurata fedeli al Governo di unità nazionale (Gna), guidato da Fayez al-Sarraj, hanno lanciato una controffensiva in sostegno del premier sotto assedio. E’ caos in Libia, dove almeno 32 persone sono rimaste uccise e 60 ferite secondo l’ultimo bilancio degli scontri iniziati giovedì scorso a Tripoli. La maggior parte sono civili. Da parte sua, l’esercito di Haftar ha riferito sabato scorso di 14 morti tra i suoi combattenti. Duro monito dell’amministrazione americana contro Haftar: il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha sottolineato che gli “Stati Uniti hanno chiarito di opporsi all’offensiva militare”. Pompeo ha quindi chiesto “l’immediata cessazione di queste operazioni militari contro la capitale libica”.

La Libia è nel caos, i bombardamenti continuano. L’emittente locale ‘al-Ahrar’ ha riferito che jet dell’aviazione militare del governo di Tripoli hanno colpito la base aerea di al-Watiyah, 130 chilometri a sud-est di Tripoli, sotto il controllo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar, sottolineando che la base di al-Watiyah è l’unica base controllata dalle forze di Haftar nei pressi di Tripoli. Secondo la tv, inoltre, la base è stata utilizzata per lanciare raid aerei sulla capitale contro le postazioni delle forze fedeli al governo riconosciuto dall’Onu. E proprio l’Onu, ha sapere che dal 4 aprile, quando le forze del generale libico Khalifa Haftar hanno lanciato un’offensiva contro Tripoli, “sembra certo che la situazione umanitaria nelle aree di conflitto lungo la cintura meridionale” della capitale libica stia “peggiorando” e si contano già circa “2.200 sfollati” verso aree relativamente più sicure di Tripoli, Tarhouna, Bani Walid e Tajoura. “La maggior parte delle famiglie sfollate ha trovato riparo da parenti e conoscenti – sostiene l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) – mentre dieci famiglie alloggiano in un rifugio collettivo che è stato istituito dal comune di Tajoura”.

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Secondo l’Onu, la situazione della sicurezza nella Libia occidentale “rimane fluida e gli eventi si stanno rapidamente evolvendo”. Inoltre negli ultimi due giorni ci sono stati quattro morti tra i civili, tra cui due medici. L’Ocha denuncia, infine, che in alcune aree in cui si sta combattendo “i civili non sono in grado di andarsene a causa dell’intensità degli scontri” ed i soccorritori “non riescono a raggiungerli”. Secondo alcune testimonianze raccolte da al Jazeera in diversi centri di detenzione di Tripoli, i migranti sono “terrorizzati” dai combattimenti in corso nella capitale libica e molti di loro sono senza acqua e senza cibo. Stando ai dati Onu, sono circa 6.000 le persone presenti nei centri gestiti dal governo di Tripoli, tra cui oltre 600 bambini.”Riusciamo a vedere i militari”, ha detto un uomo nel centro di detenzione di Qasr bin Ghashir, periferia meridionale di Tripoli dove sono in corso da giorni gli scontri tra le forze del generale Khalifa Haftar e quelle del governo di Tripoli. L’uomo ha raccontato che nel centro ci sono centinaia di migranti, lasciati senza cibo da due giorni. “Il magazzino del cibo è vuoto – ha detto – la guerra va avanti e siamo rimasti anche senza acqua e senza elettricità”. Ai migranti rinchiusi nel centro di Qasr bin Ghashir è stato detto da due uomini in uniforme che saranno trasferiti in un posto sicuro, ma molti temono di essere “venduti”.

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