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L’incontro Trump-Putin spacca il mondo, Roma tra le sedi del vertice. E Zelensky alza le barricate

La settimana prossima potrebbe segnare una svolta epocale negli equilibri mondiali. Donald Trump e Vladimir Putin si preparano a un faccia a faccia che promette di ridisegnare la mappa geopolitica globale, mentre il mondo osserva con un misto di speranza e timore.

Secondo Fox News, l’incontro è previsto per la fine della settimana entrante, ma la scelta della sede sta generando un vero e proprio braccio di ferro diplomatico. Ungheria, Svizzera, Emirati Arabi Uniti e persino Roma: ogni opzione racconta una strategia precisa, ogni capitale nasconde un messaggio politico.

Il valzer delle sedi

Mosca avrebbe inizialmente puntato sull’Ungheria di Viktor Orbán, alleato storico del Cremlino nel cuore dell’Europa. Una scelta non casuale: Budapest rappresenterebbe il simbolo di un’Europa divisa, dove Putin potrebbe muoversi in territorio amico. La Turchia di Erdoğan, altro partner controverso, appare invece “poco probabile” secondo le fonti americane.

L’ipotesi Roma ha scatenato immediate smentite russe. “Non sarà in Europa”, ha tagliato corto una fonte del Cremlino all’agenzia Tass, smontando in poche ore le speculazioni italiane. Ancora più delicata la questione Vaticano: per Putin, un incontro con il Papa potrebbe irritare il Patriarcato ortodosso di Mosca, alleato prezioso nella narrazione religiosa della guerra ucraina.

Gli Emirati, la carta vincente

Gli Emirati Arabi Uniti emergono come la soluzione più probabile. Ieri stesso, alla presenza del presidente emiratino Mohamed bin Zayed Al Nahyan, Putin ha definito il Paese “un luogo del tutto appropriato”. Una dichiarazione che suona come un endorsement ufficiale.

Abu Dhabi rappresenta la quadratura del cerchio: territorio neutrale, legami solidi con entrambe le superpotenze, discrezione garantita. L’Arabia Saudita resta in seconda battuta, ma la preferenza per gli Emirati sembra ormai consolidata.

L’ostacolo Zelensky

Ma è Kiev a gettare la prima ombra sui negoziati. Volodymyr Zelensky ha richiamato Trump alla realtà costituzionale: qualsiasi concessione territoriale richiede un referendum nazionale e l’approvazione parlamentare. Un vincolo che limita drasticamente il margine di manovra del presidente americano e potrebbe trasformare il summit in un esercizio di stile piuttosto che in un accordo concreto.

La mossa di Zelensky non è casuale: è il tentativo disperato di mantenere l’Ucraina al centro delle decisioni che riguardano il suo futuro. Un principio democratico sacrosanto che, però, potrebbe scontrarsi con la realpolitik dei grandi leader.

Verso l’ignoto

Mentre i preparativi proseguono tra indiscrezioni e smentite, una certezza emerge: il mondo si prepara a assistere a uno degli incontri più significativi del nuovo millennio. Trump, con il suo pragmatismo transazionale, e Putin, maestro della partita lunga, si siederanno di fronte sapendo che ogni parola, ogni gesto, ogni pausa potrà cambiare il corso della storia.

La domanda che aleggia nelle cancellerie di tutto il mondo resta sempre la stessa: sarà l’alba di una nuova era di pace o il tramonto dei principi che hanno retto l’ordine internazionale dal dopoguerra? La risposta arriverà tra pochi giorni, da una sede ancora da definire, ma con conseguenze già scritte nel destino di milioni di persone.

Pubblicato da
Enzo Marino