Non è un furto occasionale. È un atto calibrato, ripetuto, industrializzato. Una tecnica criminale che non richiede armi, ma conoscenza del comportamento umano. Chi la mette in pratica non punta al portafogli, ma al polso. Non cerca il denaro liquido, ma l’oro che batte il tempo. E sa — con certezza quasi scientifica — che chi guida una berlina di lusso e indossa un orologio da collezione reagirà sempre allo stesso modo: abbasserà il finestrino. Allungherà il braccio. Esporrà il bersaglio.
Il calcolo cinico dietro il gesto più innocuo
I numeri non mentono: negli ultimi 18 mesi, a Milano, i furti di orologi di lusso tramite tecnica dello specchietto sono aumentati del 220%. I bersagli? Imprenditori, influencer, personaggi dello spettacolo. Le zone? Corso Como, via Montenapoleone, piazzale Dateo — dove il valore è esibito, non nascosto. I ladri non scelgono a caso. Studiano le abitudini, i percorsi, i modelli di auto. Sanno che una Porsche Cayenne o una Range Rover Evoque non appartiene a chi indossa un Casio. E sanno che il riflesso di proteggere lo specchietto — accessorio da poche centinaia di euro — è più forte della ragione.
Il colpo è fulmineo. Il finestrino elettrico scende in 1,8 secondi. Il braccio esce. Il ladro, in sella a uno scooter rubato o clonato, ha già la traiettoria calcolata. Un guanto di pelle, un movimento secco, un colpo di reni. L’orologio vola via. Nessun urlo. Nessuna colluttazione. Solo il rumore del motore che si allontana. E il silenzio attonito di chi si guarda il polso nudo, mentre lo specchietto — intatto — riflette l’assurdità del danno.
De Martino, vittima illustre di un copione già visto
Ieri, 17:03. De Martino è fermo in coda. Lo scooter lo affianca. Il contatto — forse reale, forse simulato — è lieve. Lui reagisce d’istinto: finestrino giù, braccio fuori. Uno dei due in sella scatta. Il tentativo di resistenza dura un battito di ciglia. Inutile. L’orologio — un Patek Philippe complicato, pezzo da collezione, valore stimato oltre i 40mila euro — è già nella tasca del passeggero. I due fuggono verso viale Monza. Denuncia sporta entro l’ora. Squadra Mobile sulle tracce. Ma i testimoni? Nessuno ha visto nulla. Le telecamere? Forse qualcosa riprenderanno. Ma il tempo — come quello segnato dal Patek — è già scaduto.
Le cronache spesso dipingono Napoli come epicentro di questi colpi. Ma Milano, con la sua concentrazione di ricchezza visibile e movimento caotico, è diventata la capitale operativa di questa nuova ondata di furti “intelligenti”. Qui, il lusso non si nasconde: si ostenta. E chi lo ostenta diventa un bersaglio perfetto, inconsapevole, prevedibile.
Il mercato nero batte il tempo — e la legge
Recuperare l’orologio? Quasi impossibile. Entro 24 ore, sarà smontato, cancellato il numero di serie, o già in viaggio verso Dubai, Hong Kong, o Ginevra. Il mercato nero degli orologi di lusso non conosce crisi: anzi, prospera proprio grazie a questi colpi “puliti”. Nessuna violenza, nessun ferito, nessun allarme sociale apparente. Solo un danno economico enorme, nascosto dietro la banalità di uno specchietto “urtato”.
Ma la vera notizia non è il furto in sé. È la sua normalizzazione. È il fatto che una tecnica criminale così sofisticata — basata sulla psicologia, sulla previsione del comportamento, sulla geometria urbana — sia diventata routine. Le forze dell’ordine lo sanno. Gli assicuratori lo sanno. I concessionari di orologi lo sanno. Eppure, nessuno avverte i clienti: “Non allungare il braccio. Mai. Nemmeno se ti toccano lo specchietto”.
Perché il vero costo non è quello dell’orologio. È quello della fiducia nell’istinto. E ieri, a Milano, Stefano De Martino l’ha pagato — quarantamila euro, tasse escluse.