In un Paese che si è spesso definito culla del cattolicesimo, il rapporto tra religione e politica è sempre stato una danza complessa, fatta di passi avanti e indietro, di sguardi complici e momenti di distacco. Oggi, però, quella danza sembra essere entrata in una nuova fase. Non più il “partito dei cattolici” di un tempo, ma un’impronta profonda e diffusa che, pur senza manifestarsi apertamente come in passato, continua a plasmare l’identità politica italiana.
La destra al governo ha fatto della religione uno dei suoi pilastri identitari, utilizzandola non solo come simbolo ma come strumento di costruzione di un’immagine nazionale e culturale. Giorgia Meloni, con la sua dichiarazione di identità cristiana, e Matteo Salvini, con il rosario brandito in piazza Duomo, hanno riportato il linguaggio della tradizione religiosa al centro della scena politica. Non si tratta solo di slogan o gesti simbolici: queste immagini sono diventate atti politici concreti, capaci di attrarre consenso e consolidare alleanze. La destra governa oggi con il sostegno variegato del mondo cattolico, un mondo che trova nella difesa dei valori tradizionali – famiglia, patria, identità – un terreno fertile per il proprio radicamento sociale.
Ma cosa accade all’opposizione? Anche qui, il legame con la Chiesa non è affatto spento, sebbene si esprima in modo diverso. Romano Prodi, con la sua invocazione a “parlare di più”, e Giuseppe Conte, con la sua definizione di “cattolico democratico”, testimoniano come il mondo progressista cerchi ancora di dialogare con il cattolicesimo, pur evitando i temi più divisivi. Il PD, i partiti centristi e perfino alcune forze della sinistra radicale guardano alla Chiesa come a un punto di riferimento per ricostruire alleanze e rilanciare la propria identità. Un’identità che, inevitabilmente, deve fare i conti con il peso storico e culturale del cattolicesimo nel tessuto sociale italiano.
Eppure, questa influenza persistente solleva interrogativi cruciali. In un’epoca in cui le società occidentali si stanno secolarizzando sempre più rapidamente, l’Italia sembra rimanere un’anomalia, un ponte tra la modernità e la tradizione. Ma quanto può durare questo equilibrio? Fino a che punto la politica può – o dovrebbe – fondarsi su valori religiosi in un contesto sempre più pluralista?
Il rischio è quello di una contrapposizione sterile, dove la religione diventa un campo di battaglia ideologica anziché un terreno di dialogo. D’altra parte, ignorare il ruolo della Chiesa significherebbe negare una parte fondamentale dell’identità italiana. Forse, la sfida più grande per la politica italiana è quella di trovare un modo per integrare il patrimonio cattolico senza farne un muro contro il cambiamento, un baluardo contro il confronto con nuove sensibilità e nuovi valori.
In fondo, il campanile continua a suonare, ma il suo messaggio non è più solo quello di una comunità chiusa in sé stessa. È un richiamo a riflettere su chi siamo stati, su chi vogliamo essere e su come possiamo costruire un futuro che rispetti la nostra storia senza esserne imprigionato.