Politica

Mattarella stoppa voto: “Prima legge elettorale”. E Renzi si risveglia: ok a governo istituzionale

Confermare le dimissioni da presidente del Consiglio dopo aver messo in sicurezza la legge di stabilità puntando piuttosto a un Governo “di responsabilità”. Sarebbe questo l’orientamento di Matteo Renzi in vista della direzione Pd di oggi. Anche perché sul tavolo c’è la mina vagante del sempre più probabile intervento dello Stato per salvare Mps; l’udienza della Corte costituzionale sull’Italicum fissata per il 24 gennaio; infine le indiscrezioni fatte filtrare dal Quirinale di un Sergio Mattarella che ritiene “inconcepibile” andare a votare senza un sistema elettorale uniforme. Tutti argomenti che spingono perché sia insediato un governo nel pieno esercizio delle sue funzioni, non un premier dimissionario con le Camere già sciolte. Ecco allora la mossa di Renzi per tenere insieme la voglia di andare il prima possibile a votare con la responsabilità verso il Paese: un governo istituzionale, con numeri larghi, sostenuto da un arco di forze più ampio della maggioranza uscente “che non esiste più” e che quindi abbia la forza di “affrontare i passaggi che attendono il Paese”. Appunto la possibile crisi di Mps, la stesura di una nuova legge elettorale, una manovra correttiva. “E’ evidente che la sentenza della Consulta sull’Italicum il 24 gennaio farà allungare i tempi per andare al voto”, rileva un deputato Pd molto vicino a Renzi.

Tra l’altro, aggiunge il parlamentare Dem, “ci sarà da vedere se la sentenza della Corte costituzionale sarà auto-applicativa, cosa non scontata. In quel caso, poi, ci sarebbe da intervenire in Parlamento per correggere la legge”. Dunque passerebbe altro tempo. Vengono così cancellati i programmi dei “falchi” renziani che stamani, alla Camera, calendario alla mano non escludevano l’idea di votare a fine febbraio o inizio marzo. Da qui la nuova linea che, assicurano fonti Dem, è “in piena collaborazione con Sergio Mattarella”, perché appunto il Pd “è pronto a prendersi la sua parte di responsabilità”. Il punto è che “da soli non abbiamo la maggioranza, nè alla Camera nè tantomeno in Senato” e quindi “servirà che qualcun altro si assuma la sua parte di responsabilità”. Anche e soprattutto dal fronte del No: “Quelli che stanno rivendicando la vittoria del referendum dimostrino il loro senso di responsabilità”. Questo è quello che Renzi dovrebbe dire oggi alla direzione del Pd, forse già dopo aver formalizzato le dimissioni al Quirinale. Inizialmente convocata alle 15, la Direzione è stata spostata alle 17,30 per evitare concomitanza con il voto di fiducia in Senato. Ma a quel punto, con la manovra approvata, nulla impedirebbe a Renzi di salire subito al Colle e andare in Direzione avendo già compiuto il gesto ufficiale.

Una strada che stroncherebbe ogni tentativo di pezzi del partito di farlo recedere dalle sue intenzioni. Tanto che le consultazioni potrebbero essere avviate già giovedì. Lì si vedrà se il richiamo di Mattarella e la disponibilità offerta dal Pd troveranno sponda in almeno uno dei partiti alle opposizioni. Il M5s con Luigi Di Maio ha già fatto sapere che “si va al governo solo con il voto dei cittadini”, anche Lega e Fdi non sembrano minimamente interessati all'”operazione responsabilità”, e allora tutti i riflettori si spostano su Forza Italia e Silvio Berlusconi. Per ora la linea resta la stessa: disponibilità al tavolo sulla legge elettorale, non ad entrare in un governo. Se Berlusconi alla fine cedesse, Renzi vedrebbe allontanarsi l’obiettivo del voto il prima possibile per non disperdere il patrimonio del 40% al referendum, ma al tempo stesso otterrebbe il risultato di dividere il centrodestra, di sopportare con il Cavaliere il peso di un governo impopolare, e di far emergere con chiarezza che il sostegno al governo avviene solo per senso di responsabilità.

Sperando comunque in un voto in primavera. Se invece Berlusconi dovesse restare fermo su questa linea, il premier e il Pd si troverebbero di fronte a un bivio: prendere atto del rifiuto delle altre forze politiche e andare al voto “che non temiamo” prima di aver celebrato il congresso di partito, oppure accollarsi da soli il peso di un governo che ha davanti a sé passaggi non facili contando su numeri risicatissimi. Tanto che la Direzione di oggi, spiega una fonte del Pd, “potrebbe essere molto breve”, mentre “il dibattito vero ci potrebbe essere tra una decina di giorni”. Quando appunto potrebbe essere chiaro che nessun altro partito avrà dimostrato lo stesso senso di responsabilità. Quello potrebbe essere il momento in cui si confronteranno le anime Dem favorevoli al voto rapido e quelle che invece – ex Dc, sinistra interna e giovani turchi – vogliono prendere tempo e andare alle urne solo dopo il congresso del partito.

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