Editoriale

Meccanismo europeo di stabilità, l’ultima carta dei Cinquestelle

L’impressione è che gli sia rimasta in mano l’ultima carta, dopo aver bruciato quasi tutto il mazzo (Ilva, Alitalia, Tav, Tap, Reddito di Cittadinanza…). E così ora, Luigi Di Maio, scommette tutto sul Meccanismo europeo di stabilità. E, a ben ragione, dato che la quasi totalità del MoVimento Cinque Stelle, almeno in questo, appare unito. Quindi, come perdere questa occasione per tentare di riprendere gli equilibri interni al movimento e quindi ridare linfa alla sua leadership tanto contestata dentro e fuori lo stesso M5s? Da qui la raffica di aut aut al Partito Democratico sempre più frastornato: “Sul Mes, siamo molto determinati – puntella Di Maio -. Per noi bisogna rinviare, così com’è non va bene”. In pratica, l’esatta opposta linea Dem. Affermazioni, quelle di Di Maio, smentite a distanza – e casualmente – dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, secondo il quale, il nuovo trattato sul Mes rappresenta “un passo nella giusta direzione”. Per non parlare dell’Eurogruppo che già sembra aver archiviata la pratica: “Il Mes non si tocca, c’è l’accordo politico”. Ma per Di Maio, il vero problema è l’autoconservazione. Di certo, un’impresa ardua, dato che oggi si ritrova a tentare di guidare un movimento dilaniato da una serie di correnti che fanno invidia a quelle della vecchia Balena Bianca.

Uno degli ultimi avvertimenti al capo politico, arriva da Giorgio Trizzino, deputato del Movimento 5 stelle già noto per le sue critiche al doppio ruolo di Di Maio, capo e ministro. “Frank Walsh, un politico australiano del secolo scorso, amava dire che la differenza tra una critica ‘costruttiva’ e una critica ‘malevola’ sta nel fatto…”, premette Trizzino in merito alla riorganizzazione in corso del Movimento. Poi l’affondo: “Ma segnalo a tutti che non resterò semplicemente a guardare e vigilerò affinché non si ripetano alcuni errori del passato e non si continuino a percorrere strade che hanno già dimostrato di non essere nella giusta direzione”. Ma c’è anche chi già non crede a questa nuova ristrutturazione del movimento per la quale è appena partito il countdown per l’elezione dei 18 facilitatori. Sarà un momento cruciale per gli equilibri interni del movimento, che potrebbe arrivare a conclusione già alla metà di dicembre. I facilitatori del cosiddetto “team del futuro” saranno 18: dodici eletti dagli iscritti sulla piattaforma Rousseau; sei saranno scelti dal capo politico e ratificati, o meno, sempre su Rousseau. Ed è proprio a questi ultimi sei, scelti da Di Maio, che spetteranno i ruoli più delicati, quelli cioè inerenti all’organizzazione del cuore della struttura del M5s. Anche per questo, qualche dubbio, già comincia a serpeggiare nei gruppi parlamentari pentastellati.

“Speriamo sia un modo perché i vertici si facciano davvero aiutare”, spiega uno dei candidati facilitatori. Qualcun altro invece, ha scelto di non correre. “È inutile”, ammette con un velo di delusione. Entro le ore 12 di lunedì 9 dicembre, comunque, i 6 facilitatori dell’organizzazione dovranno presentare la propria candidatura. Ma per Di Maio la rotta è autolegittimarsi. Il che vuol dire ricordare al Pd che i 5 stelle “sono l’ago della bilancia”. Come dire, “decidiamo noi”. Il primo pressing su Giuseppe Conte, intanto, è andato a buon fine. Il capo politico pentastellato è riuscito a far fare marcia indietro al premier, convertendolo a una modifica del Mes. Ha anche chiesto man forte al suo amico Alessandro Di Battista, Di Maio, facendolo tornare in campo spezzando così la sua latitanza per dimostrare che non è solo. Che il ministro degli Esteri stia giocando d’azzardo, tuttavia, appare più che evidente. Perché bruciando anche la carta Mes, si certificherebbe la sconfitta su tutta la linea di un MoVimento Cinque Stelle a cui oggi appare difficile bollarci una propria identità, non essendo né un partito di governo, né di opposizione, e tanto meno del “vaffa”.

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