Editoriale

Medici in prima linea, Parlamento “chiuso”. Appello per riaprere Camere

Tutti vogliono il Parlamento aperto affinché gli eletti possano svolgere il sacro dovere di rappresentare il popolo. Ma di fatto, la paura del contagio da Coronavirus che serpeggia tra deputati e senatori sta rischiando di “azzoppare” il nostro sistema democratico a causa di un’attività parlamentare sempre più sporadica. E così da alcune settimane, il dibattito in merito è sempre più acceso: “Palazzi” chiusi o aperti? Di certo, i medici sono in prima linea, i panettieri con sveglia all’alba sono sempre pronti a fornirci il pane quotidiano, e finanche le ferramenta sono aperte al pubblico. Invece, il governo Conte 2 va a colpi di decreti del presidente del Consiglio, cercando di arginare il contagio da Coronavirus, ma nessuno sembra preoccuparsi di quando e se sarà possibile convertirli in legge entro 60 giorni pena la perdita di efficacia. Non solo. il massiccio ricorso ai Dpcm solleva la questione del ruolo del Parlamento come supremo organo legislativo, delle sue prerogative e dei rischi connessi all’accentramento di questo potere di intervento nelle mani del solo presidente del Consiglio.

Anche i giuristi sono scesi in campo, manifestando la loro contrarietà al sistematico ricorso ai Dpcm. Parliamo di Sabino Cassese, uno dei maggiori giuristi italiani e Michele Ainis, costituzionalista e componente dell’Autorità garante della Consorrenza e del Mercato. Quest’ultimo, tra l’altro, lancia un allarme sui rischi connessi al massiccio ricorso al Dpcm come atto normativo, ovvero che questo “possa diventare un precedente”. E così, il leader della Lega, Matteo Salvini, chiede al capo dello Stato, di far “riaprire il Parlamento, per permettere a noi di svolgere il nostro mestiere, abbiamo voglia di portare a Roma proposte, idee e contributi”. Come dire, “Presidente Mattarella ci affidiamo a lei visto che altri non sembra che abbiano voglia o tempo di ascoltarci”. Lo stesso presidente della Camera, Roberto Fico, sottolinea che “chi parla di Parlamento chiuso è confuso o distratto: non abbiamo mai chiuso e non chiuderemo”. Ma la paura del contagio resta e non c’è ‘stretta’ sanitaria che tenga, alimentando la querelle sui lavori parlamentari. In queste ore si continua a dibattere sull’opportunità di stare fisicamente in Aula o fare ricorso a strumenti alternativi come il voto a distanza (adottato dal Parlamento europeo) o quello telematico per esaminare provvedimenti urgenti come il dl ‘Cura-Italia’.

Il vice presidente della Camera, Fabio Rampelli, continua a ribadire “fateci lavorare”, ricordando che “la Camera può proseguire il suo lavoro di ascolto delle categorie, di approvazione di atti di indirizzo, di azioni di sindacato ispettivo, di votazioni per rinnovare Autority e cda e chi più ne ha più ne metta”. Per la cronaca, l’Aula di Montecitorio è convocata mercoledì 25 marzo alle ore 15. L’ultima seduta s’è svolta mercoledì 18 marzo. La deputata di Fi, Michaela Biancofiore, intanto, ha un’idea, ovvero di chiedere all’Istituto superiore di sanità ”se l’Aula può rimanere fisicamente aperta”. Come dire, “lo può decidere solo la più alta autorità sanitaria nazionale”. Matteo Renzi, invece, non ha bisogno di nessuna consulenza perché è convinto che il Parlamento “non può stare a casa”. Come anche cinque parlamentari di Movimenta – di cinque gruppi diversi – che hanno sottoscritto un appello per mantenere aperti i lavori di Palazzo Madama e Montecitorio. Si tratta di Alessandro Fusacchia (Misto), Paolo Lattanzio (M5S), Rossella Muroni(LeU), Erasmo Palazzotto, (LeU), Lia Quartapelle (Pd). Del coro ‘Parlamento aperto’, fa parte, tra gli altri, anche Francesco D’Uva, questore della Camera: “Dobbiamo legiferare – dice il deputato 5stelle – anche per sostenere lo sforzo incredibile di medici, infermieri, personale sanitario e soccorritori che sono in prima linea dalla mattina alla sera, senza fermarsi un attimo”.

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