Meloni chiude Atreju e rilancia premierato e referendum. “Sinistra? Amante delle ammucchiate”

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni

Nove giorni di festa, la più lunga di sempre. Giorgia Meloni ha chiuso la ventisettesima edizione di Atreju, la kermesse di Fratelli d’Italia nei giardini di Castel Sant’Angelo, con un discorso che mescola identità, risultati di governo e frecciate all’opposizione. Nessuna citazione del “Signore degli anelli”, ma Blaise Pascal e il suo cuore che ha “ragioni che la ragione non conosce”.

La presidente del Consiglio invita i militanti a “non smettere di ricordare” da dove vengono e a essere “scintilla” da portare “di cuore in cuore, di città in città”. Il tono, rispetto ad altri interventi, cambia. Più ironico, più sprezzante verso l’opposizione. Due mesi fa, alla festa di Gioventù nazionale, la premier aveva contrapposto “noi” e “loro”, amore contro odio. Ora la narrazione si fa più tagliente, con battute e sarcasmo.

Attacchi e riferimenti alle riforme

Meloni non rinuncia a ricordare i tre anni di governo. Rivendica riforme già fatte e quelle ancora da completare. Torna sul premierato, fermo in commissione, e rilancia il referendum sulla separazione delle carriere. “Non è un giudizio sull’esecutivo, che resterà in carica fino alla fine della legislatura”, sottolinea. “Serve a evitare vergogne come quella di Garlasco”. La cornice è già quella della campagna elettorale per il 2027. La premier parla ai militanti come se la sfida fosse imminente.

Frecciate a Schlein e al campo largo

Il cuore dell’intervento è negli attacchi alla sinistra. In particolare a Elly Schlein, assente dai dibattiti di Atreju. “Qui il valore delle persone si misura sui contenuti. Chi scappa dimostra di non averne”, afferma. Poi l’ironia: “Con il suo nannimorettiano ‘mi si nota di più se non vengo’, ha comunque fatto parlare di noi”. Altra stoccata: “Il presunto campo largo l’abbiamo riunito noi. L’unica che non si è presentata è quella che dovrebbe federarli. Contenti loro”.

Meloni descrive la sinistra come “amante delle ammucchiate”. Lo spunto è un articolo di Repubblica: “Avanti c’è posto”. “Le ammucchiate non sono quelle di Atreju, ma quelle che la sinistra ha fatto per anni in Parlamento e tenta ancora oggi di replicare pur di gestire il potere”. Poi la metafora: “Alla fine fanno il re Mida al contrario. La buona notizia è che ogni volta che parlano male di qualcosa, va benissimo. Si portano da soli una sfiga che manco al mercante in fiera”.

Ironia anche sulla cucina italiana

Il tono irridente si ripete quando la premier ricorda il riconoscimento Unesco alla cucina italiana. “La sinistra non è riuscita a gioire. Hanno rosicato così tanto che è una settimana che mangiano tutti dal kebabaro. Roba da matti”. La chiusura di Atreju conferma la doppia strategia di Meloni: ribadire l’identità del movimento e preparare il terreno per la sfida del 2027. Tra citazioni colte, rivendicazioni di governo e battute contro l’opposizione, la premier ha scelto di trasformare la festa in un palcoscenico politico.