tuona la presidente del Consiglio dal palco riminese, rivendicando con forza la linea del governo. Parole che suonano come una dichiarazione di guerra a quanti ostacolano le politiche migratorie dell’esecutivo, dai magistrati alle organizzazioni non governative.
Mediterranea all’attacco: “Intimidazioni e violenze in mare”
Ma è proprio mentre Meloni parla che si consuma l’ultimo atto di una guerra giudiziaria sempre più aspra. Mediterranea Saving Humans, attraverso i suoi legali Serena Romano e Fabio Lanfranca, deposita un esposto che ricostruisce una sequenza di eventi inquietanti avvenuti durante l’ultima missione di soccorso. Al centro dell’accusa, le intimidazioni subite dalla nave dell’ONG da parte delle milizie libiche in acque internazionali il 18 agosto scorso.
Il racconto si fa più drammatico quando l’esposto descrive l’episodio della notte tra il 21 e il 22 agosto: un gommone militare libico avrebbe “scaraventato con violenza in acqua le dieci persone poi soccorse in mare” dalla nave umanitaria. Un episodio che, se confermato, configurerebbe gravi reati contro l’umanità perpetrati da quelle stesse milizie con cui, secondo l’organizzazione, l’Italia mantiene rapporti di collaborazione.
L’esposto non si limita a denunciare i fatti, ma punta direttamente il dito contro le “complicità italiane nella collaborazione e nel sostegno a questi gruppi criminali”. Una accusa pesantissima che chiama in causa la strategia italiana di esternalizzazione dei controlli migratori attraverso accordi con le autorità libiche.
Il caso Almasri e le “collaborazioni” controverse
La presidente di Mediterranea, Laura Marmorale, non usa giri di parole e tira in ballo direttamente il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: “Non prendiamo lezioni sul soccorso in mare, la legalità e la lotta ai trafficanti di esseri umani da Piantedosi e da chiunque abbia liberato un criminale contro l’umanità come Almasri”.
Il riferimento è al controverso caso del generale libico Osama Almasri, accusato di crimini di guerra dalla Corte Penale Internazionale e poi rilasciato dall’Italia, episodio che ha sollevato un polverone diplomatico e giudiziario. Per Marmorale, questo è il simbolo di una politica che “ha acquistato i servizi dei trafficanti e gli ha consegnato la Libia”.
La strategia del governo: controllo o complicità?
L’accusa di Mediterranea tocca il nervo scoperto della strategia italiana in Libia. Da anni Roma punta sulla cosiddetta “guardia costiera libica” per intercettare i migranti prima che raggiungano le acque italiane, fornendo supporto tecnico e logistico. Una politica che ha effettivamente ridotto gli arrivi, ma che secondo le ONG trasforma l’Italia in complice di violazioni dei diritti umani.
attacca Marmorale, denunciando come il governo preferisca sanzionare le organizzazioni umanitarie piuttosto che affrontare il nodo dei rapporti con i gruppi armati libici. La rotta di Sabratha, una delle più pericolose del Mediterraneo centrale, è secondo l’ONG controllata proprio dagli uomini di Almasri e Trebelsi, con cui il governo italiano avrebbe rapporti diretti.
Il nodo irrisolto della cooperazione
Al di là delle reciproche accuse, emerge un quadro allarmante: da una parte un governo che rivendica il diritto sovrano di gestire l’immigrazione con pugno di ferro, dall’altra organizzazioni umanitarie che documentano violenze sistematiche perpetrate da chi dovrebbe garantire i soccorsi. Nel mezzo, migliaia di vite umane che continuano a essere utilizzate come pedine di una partita geopolitica più grande.
La richiesta di Marmorale di “verità anche giudiziaria sulle collaborazioni di questi anni” apre scenari inquietanti. Se le accuse dovessero trovare riscontro nelle aule di tribunale, l’Italia potrebbe trovarsi a dover rispondere non solo di omissione di soccorso, ma di vera e propria complicità con organizzazioni criminali.