Nasce una politica comune Ue d’immigrazione e asilo

Nasce una politica comune Ue d’immigrazione e asilo
22 settembre 2015

I ministri dell’Interno dell’Ue hanno adottato, oggi a Bruxelles, la decisione del Consiglio sulla “relocation”, che “ricollocherà” 120mila rifugiati da Italia e Grecia verso tutti gli altri Stati membri, esclusi i Paesi con l’opt-out (ma solo Regno Unito e Danimarca, l’Irlanda ha deciso di partecipare). La decisione è stata adottata a maggioranza qualificata, con un voto che ha visto contrari quattro paesi (Romania, Repubblica ceca, Slovacchia, e anche Ungheria che si sperava di poter convincere a non opporsi) e con un’astensione (la Finlandia, a sorpresa). Confermato, invece, il cambiamento di posizione della Polonia, inizialmente contraria, che invece si è espressa a favore della decisione. La ripartizione dei rifugiati fra gli Stati membri sarà questa volta obbligatoria e non più “volontaria” come per la prima misura simile in relazione a 40mila rifugiati, che era stata adottata definitivamente il 14 settembre scorso. Con la “relocation” si afferma un principio fondante per una vera e propria politica comune dell’Ue nel campo dell’immigrazione e dell’asilo: quello della solidarietà fra gli Stati membri, che decidono di cominciare a ripartirsi equamente fra loro l’onere dell’accoglienza dei rifugiati, mettendo finalmente in crisi la logica perversa del regolamento di Dublino, secondo cui quell’onere spetta al solo paese di primo arrivo dei migranti.

Si tratta, quindi, di una decisione davvero storica per l’Ue, che applica per la prima volta fino in fondo (e per una questione davvero importante e contoversa) la scelta coraggiosa fatta con il Trattato di Lisbona, quando gli Stati membri (anche quelli che oggi hanno votato ‘no’) abbandonarono il principio dell’unanimità e accettarono che in questo campo le decisioni potessero essere prese a maggioranza qualificata. Nell’attuale Trattato Ue, è bene ricordarlo, la politica d’immigrazione e d’asilo è una competenza “concorrente” (come per il mercato unico) e gli Stati membri hanno conservato una loro competenza esclusiva solo per quanto riguarda il numero di immigrati “economici” legali che decidono di accettare ogni anno. Quella di oggi è anche una vittoria del “metodo comunitario”, fortemente difeso dalla Commissione europea di Jean-Claude Juncker, contro il tentativo di diversi paesi membri (soprattutto dell’Est) di negare il carattere “comune” alla politica dell’Immigrazione e Asilo, e di riportarla nell’alveo intergovernativo, rivendicando il diritto di veto degli Stati membri in quest’area, nonostante il Trattto di Lisbona, e pretendendo che le decisioni fossero prese dai capi dei Stato e di governo, nel Consiglio europeo (dove vige quasi sempre l’unanimità), e non dai ministri nel Consiglio Ue (dove si vota ormai quasi su tutto a maggioranza qualificata).

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Nella versione finale della decisione sulla “relocation”, sembra soprattutto per convincere la Polonia a votare a favore, non vengono menzionati i criteri usati nella proposta originaria della Commissione per determinare la chiave di ripartizione dei rifugiati fra i vari paesi membri (popolazione, Pil, disoccupazione e numero di rifugiati a cui è stato già concesso l’asilo), ma le cifre relative alle “quote” di richiedenti asilo che ogni paese dovrà accogliere sono praticamente le stesse a cui era arrivato l’Esecutivo comunitario usando quella chiave. L’Ungheria, alla fine, dovrà accogliere dei rifugiati provenienti da Italia (306) e Grecia (988), benché la proposta originaria della Commissione prevedesse che anche da questo paese fosse “ricollocato” un numero consistente di rifugiati (54mila); ma Budapest ha preferito non partecipare al meccanismo, per non riconoscerne il carattere obbligatorio. Inoltre, accettare di “ricollocare” altrove una parte dei rifugiati giunti sul suo territorio significherebbe, secondo il governo di Budapest, riconoscere che l’Ungheria è diventato un paese di primo approdo nell’Ue per i flussi migratori dai paesi terzi, quando invece i migranti passano prima da altri Stati membri, come la Grecia, che non li registra come sarebbe obbligata a fare.

La quota di 54mila rifugiati originariamente da ricollocare a partire dall’Ungheria diventerà ora una sorta di “riserva”; fra un anno, in principio, se ne potranno avvalere Grecia e Italia per aumentare i rifugiati da ricollocare a partire dal proprio territorio. Ma la Commissione potrebbe anche fare delle nuove proposte per utilizzare una parte di questa “riserva” al fine di alleviare un’eventuale nuova ondata di arrivi inattesi in altri paesi membri”. I paesi membri potranno chiedere una deroga temporanea dal rispetto del loro obbligo di accogliere i rifugiati secondo quanto prevede la “Relocation”. Ma questa deroga potrà durare al massimo un anno (a partire dalla fine della durata del meccanismo temporaneo, che è di due anni), dovrà essere motivata da circostanze eccezionali (come un afflusso massiccio e improvviso di migranti o un disastro naturale), e non potrà comunque riguardare più del 30% della “quota” inizialmente prevista per il paese in questione. È caduta, invece, la proposta di sanzionare economicamente i paesi che non dovessero rispettare, anche temporaneamente, le loro quote obbligatorie.

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