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Netanyahu chiude la porta a ogni Stato palestinese e ordina l’occupazione di Gaza oltre la Linea Gialla

Netanyahu chiude la porta a ogni Stato palestinese: il 16 novembre, in apertura di seduta di governo, il premier israeliano ha ribadito il veto “fermo e immutato” a qualsiasi sovranità palestinese a ovest del Giordano, mentre le Forze di difesa israeliane ricevono l’ordine di occupare Gaza oltre la Linea Gialla.

Controllo militare come alternativa politica

L’annuncio del generale Eyal Zamir a Rafah non ha valore soltanto tattico: segna una scelta deliberata del governo israeliano di sostituire ogni prospettiva diplomatica con un’estensione indefinita del controllo militare su Gaza. “Dobbiamo stabilire rapidamente il controllo operativo oltre la Linea Gialla”, ha detto il capo di Stato Maggiore alle truppe, aggiungendo che “il regime di Hamas non deve esistere dall’altra parte del confine”.

La formulazione, volutamente estensiva, non distingue tra obiettivi antiterrorismo e aspirazioni territoriali. In pratica, legittima la permanenza delle Forze di difesa israeliane (Idf) in settori che, secondo ogni mappa post-1967, rientrano nei confini dell’enclave palestinese. È un passo che vanifica, di fatto, ogni ipotesi di ritiro o disimpegno.

Netanyahu chiude la porta a Stato palestinese

In contemporanea, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha reiterato in sede governativa il rifiuto “fermo e immutato” alla creazione di uno Stato palestinese “ovunque a ovest del fiume Giordano”. Le sue parole mirano a prevenire l’impatto della risoluzione che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite voterà il 17 novembre, basata sul piano in venti punti elaborato da Donald Trump.

“Gaza sarà smilitarizzata, con o senza il nostro consenso diplomatico”, ha detto Netanyahu, lasciando intendere che Israele non intende riconoscere nemmeno le condizioni preliminari per un’autonomia palestinese. Il ministro della Difesa Israel Katz ha ribadito che le Idf resteranno “sul Monte Hermon e nella zona di sicurezza”, mentre il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha definito la prospettiva di uno “stato del terrore” una minaccia esistenziale.

Unifil sotto tiro

Lo stesso 16 novembre, un carro armato Merkava ha aperto il fuoco contro pattuglia dell’Unifil, la forza di pace delle Nazioni Unite, nel sud del Libano, costringendo i caschi blu a ripararsi per trenta minuti. L’incidente, seppur chiuso senza feriti, è emblematico: l’esercito israeliano ha ammesso di aver scambiato i militari Onu per “minaccia sospetta” a causa del maltempo, ma il ricorso ripetuto a “colpi di avvertimento” contro obiettivi non ostili riflette un clima operativo sempre più aggressivo.

La missione Unifil, attiva dal 1978, opera con mandato internazionale per garantire il cessate il fuoco tra Israele e Libano, ma negli ultimi mesi ha subito crescenti pressioni sia da Hezbollah sia dalle Idf, entrambe sempre meno rispettose dei confini de facto.

Raid mirati in Libano e Cisgiordania

Nel villaggio libanese di al-Mansouri, un drone israeliano ha eliminato due comandanti di Hezbollah, secondo quanto riportato dai media locali. L’operazione, non confermata ufficialmente da Tel Aviv ma coerente con la strategia di “deterrenza attiva”, si inserisce in una logica di contenimento preventivo lungo il confine nord.

Contemporaneamente, nella Cisgiordania occupata, un blitz notturno nel campo profughi di Askar ha provocato la morte di Hasan Ahmed Mousa, 19 anni, e il ferimento di un altro giovane. Le Idf hanno giustificato il fuoco come risposta a un lancio di ordigno, ma i testimoni sul posto negano episodi di violenza da parte dei civili. Fonti della Mezzaluna Rossa palestinese sottolineano che l’area è sotto coprifuoco informale da settimane, con frequenti incursioni militari notturne.

Una commissione di inchiesta sul 7 ottobre

A oltre un anno dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, il governo israeliano ha deciso di istituire una commissione ministeriale per indagare sulle carenze di intelligence e sicurezza. Tuttavia, la struttura scelta — non una Commissione di Stato, bensì un organismo subordinato all’esecutivo — non avrà poteri di citazione né autonomia investigativa.

Il mandato dovrà concludersi entro 45 giorni, con raccomandazioni non vincolanti. Per molte famiglie delle vittime, si tratta di un tentativo di evitare responsabilità politiche dirette, soprattutto quelle che potrebbero ricadere sullo stesso Netanyahu, già sotto pressione per la gestione della crisi. L’assenza di un’inchiesta indipendente conferma che, anche nel lutto nazionale, la priorità resta la tenuta del governo e non la trasparenza.

Pubblicato da
Eleonora Fabbri