Cultura e Spettacolo

Nuove scoperte sulla “Pompei d’Oriente” Shahr-i Sokhta

Rinasce la Pompei d’Oriente, Shahr-i Sokhta, nell’Iran orientale, tra il deserto del Lut e le alture del Baluchistan. Una città che seimila anni fa rappresentava il punto d’incontro di diverse civiltà asiatiche e inserita nella lista dei siti patrimonio mondiale dell’Unesco. Tutto qui è rimasto intatto e la vasta area archeologica di circa 200 ettari è oggi il simbolo della cooperazione tra Italia ed Iran. Il progetto archeologico che ha riportato alla luce la città, infatti, è nato nel 1997 in Iran; poi è diventato internazionale con la collaborazione tra l’Iranian Center for Archaeological Research e l’Università del Salento con il Dipartimento di Beni culturali.

A guidare il team internazionale di circa 30 persone, l’iraniano Mansur Sajjadi e per l’Italia Enrico Ascalone. “La missione ha permesso di rivalutare le sequenze cronologiche del sito grazie ad analisi isotopiche che hanno alzato di circa 3,4 secoli le sequenze passate o per lo meno quello che si pensava in passato delle involuzioni insediamentali del centro e allo stesso modo il rinvenimento di prototavolette con annotazioni numeriche hanno permesso di stravolgere il nostro modo di pensare le società complesse e i processi di urbanizzazione in Asia tra la seconda metà del quarto millennio e il terzo millennio”.

Shahr-i Sokhta viene paragonata a Pompei che si è conservata sotto la lava del Vesuvio. Allo stesso modo, la città iraniana è stata preservata dalla sabbia del deserto per migliaia di anni. Shahr-i Sokhta, cesserà la propria esistenza dopo la fine del III millennio a.C., colpita da una crisi che la ricerca archeologica tende a spiegare, non senza incertezza, con un radicale e repentino cambiamento climatico che avrebbe colpito le risorse idriche della regione. I reperti archeologici rinvenuti durante gli scavi hanno testimoniato il suo ruolo centrale nell’Età del bronzo e hanno fatto conoscere una nuova civiltà che si trovava in mezzo tra quelle fluviali conosciute dell’Indo, Oxus e di Jiroft, ma portatrice di una cultura autonoma, radicata nel territorio e nella storia dell’Iran orientale.

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